Da una decina di anni a questa parte, il fascino della caccia al manoscritto e dell’inesausto vitalismo del Dottor Živago hanno fatto scoprire a Paolo Mancosu, che ha sempre continuato a fare il professore di logica e filosofia della matematica a Berkeley, una nuova vocazione di filologo e russista. Di questa sono frutto tre corposi e dettagliatissimi volumi sulle sorti del romanzo di Pasternak e sul clamoroso scandalo che lo ha accompagnato di qua e di là dalla cortina di ferro. Sempre scritti prima in inglese, ne vengono tradotti adesso per Feltrinelli il secondo e il terzo volume insieme, Pasternak e Ivinskaja Il viaggio segreto di Živago (traduzione di Francesco Peri, pp. 615, € 35,00), che vanno a aggiungersi a quello d’esordio, che tanta e meritata eco ha destato nel 2015, Živago nella tempesta (sempre per Feltrinelli).

Mancosu si è ripromesso di scoprire ogni più riposto dettaglio della tempesta perfetta scatenatasi quando, per l’unica volta nel secolo della comunicazione mediatica, un editore italiano, l’allora poco conosciuto Feltrinelli, fu al centro di un clamoroso caso letterario per avere – primo al mondo – comprato i diritti esclusivi di un bestseller assoluto, con ciò scardinando, oltretutto, la logica dei blocchi contrapposti: un libro per molte implicazioni antisovietico di un classico vivente della letteratura russo-sovietica che veniva pubblicato da un editore di esplicita militanza comunista.

Lei, prototipo di Lara
Se l’indagine scientifico-divulgativa non può dirsi immune dall’indebolimento proprio del sequel, la determinazione, l’imperioso ma estremamente razionale argomentare, una passione mai artefatta continuano a avvincere il lettore, cooptandolo, come se questo fosse stato lo stimolo iniziale, nel genere del giallo filologico, della bibliofilia storico-cospirativa. Sorprende l’impianto del libro, che inserisce, senza cosmesi, due volumi distinti in uno, ciascuno con propria prefazione e ringraziamenti e perfino un addendum estraneo sia all’uno che all’altro e come tale presentato.

In copertina, viene opportunamente anteposta, anche con l’immagine, la storia cronologicamente conseguente di Ol’ga Ivinskaja, compagna degli ultimi quindici anni di Pasternak e prototipo indiscusso della Lara di Živago, travolta, alla morte del poeta, dalla crudele vendetta del sistema sovietico: un concentrato di passione, patimento e sopruso, sui quali, programmaticamente, Mancosu, non indugia neanche un po’, lasciandoli tuttavia emergere per evidenza umana e documentale. Sempre in copertina quasi ridotta a un sottotitolo appare l’intera prima parte del libro, la capillare ricostruzione delle vicende legate alla trasmissione oltrecortina di ben sette manoscritti del Dottor Živago, le cui tappe, vicissitudini, contesti umani e culturali sono ricostruiti con lucido e minuzioso scrupolo.

Da qui occorre partire, in primis da ciò che manca, ovvero la parte più eclatante e avvincente, l’arrivo a Milano attraverso il giornalista Sergio d’Angelo del libro che mai ci si sarebbe aspettati, il rapporto umano di grande stima e empatia tra Pasternak e Giangiacomo Feltrinelli, la firma eversiva e epocale di un ultracapitalista contratto di esclusiva nel villaggio degli scrittori alle porte della Mosca sovietica. Tutto questo resta confinato nel libro del 2015: con rigore accademico Mancosu non intende fornire duplicati, e dunque insiste su tutto il nuovo, la pubblicazione e ricezione del romanzo in Gran Bretagna e Francia, il percorso esatto del manoscritto su cui si basa l’edizione pirata dell’originale russo orchestrata dalla Cia nel 1958, l’entusiasmo, le idiosincrasie e i contrasti di attori che sono tra i più grandi gruppi editoriali mondiali, da Gallimard a HarperCollins a Pantheon Books, e intellettuali del calibro di Isaiah Berlin e Bertrand Russell.

Un lettore distratto rischia di perdersi molto presto, occorre leggere, come suggerito, ogni passaggio di carte e ogni deduzione autoriale come indizio di un giallo, cogliere il fervore che sa trasmettere Mancosu quando avverte di «saperla molto più lunga su ogni aspetto della vicenda di qualunque singolo protagonista».

Una ricerca imparziale
La seconda parte del libro vede la tempestosa e volitiva Ol’ga Ivinskaja, che per amore di Pasternak già aveva passato tre anni nei lager sovietici, ritrovarsi all’improvviso vedova disperata in possesso di un’enorme eredità due volte impossibile da far valere, in presenza di una legittima consorte e di uno stato che osteggia in ogni modo la proprietà privata. Hanno tratti rocamboleschi e tragicomici lo smarrimento o, più verosimilmente, l’intercettazione, da parte del KGB di un testamento-delega a vantaggio di Ol’ga, la sua «legittima» falsificazione, la consegna, all’insaputa di Feltrinelli, di una stratosferica cifra in rubli a Ol’ga per iniziativa di Sergio d’Angelo, le accuse reciproche di spionaggio al soldo sovietico tra il giornalista e il collega tedesco e collaboratore di Feltrinelli Heinz Schewe.

Fatto sta che quell’abnorme quantità di contanti, del tutto incongrua a ogni standard della grama quotidianità sovietica, serve su un piatto d’argento l’arresto di Ol’ga con l’infamante accusa di contrabbando di valuta e una severa condanna a otto anni di detenzione, con collaterale d’estrema dolenza di tre anni anche per la giovanissima figlia di primo letto Irina Emel’janova. Ed è proprio quest’ultima, che per età appare nelle foto la vera Lara della situazione, ad assumerne il ruolo romanzesco, in un’appassionata storia di amore-distacco con il giovane e in futuro famoso slavista francese Georges Nivat, ostacolata dalle autorità, dai visti, dalle malattie, tenacemente viva durante la separazione per l’inesausto spendersi e tessere trame e gruppi d’appoggio ufficiali e ufficiosi da parte di Nivat. E risolta con non meno romanzesco fragore dalla notizia del matrimonio di Irina con un compagno di prigionia, alla liberazione anticipata a metà della pena.

Anche Ol’ga è liberata dopo quattro anni, forse per effetto delle pressioni a diversi livelli dell’opinione pubblica occidentale, tutte dettagliatamente descritte, forse ancor più per l’occulta strategia sotterranea di Giangiacomo Feltrinelli, verso il quale, però, Mancosu non risparmia anche giudizi distaccati, velatamente critici, non certo di scuderia (tutta la ricerca sulla Ivinskaja è stata possibile solo grazie ai materiali messi a disposizione dalla Fondazione Feltrinelli). E certamente sono tra i punti di forza dello studioso l’equilibrio, l’imparzialità, la capacità di cogliere la fattiva tenacia di uno Schewe di sicuro non esente da compromessi con i servizi sovietici o l’amore per la causa comune della nipote di Pasternak, che immotivatamente gli rinfaccia un’affermazione del precedente libro.

Il personaggio-autore
Fiero, a ragione, del suo fiuto per l’orientamento delle menti e degli interessi di gruppo, Mancosu non manifesta però altrettanta curiosità per le vicende testuali e editoriali del più volte citato dramma incompiuto di Pasternak La bellezza cieca (che già dal titolo dovrebbe suonare Una bellezza cieca, essendo in russo sostantivo animato), o per il fatto che il marito di Irina sia uno dei più originali e talentuosi scrittori sperimentali della generazione del samizdat, Vadim Kozovoj. Questa indifferenza per le implicazioni puramente letterarie conferma che il libro non è tanto un libro su Pasternak, e neppure su Ol’ga-Lara, quanto, giustamente, un libro di Mancosu, del quale egli stesso è l’attore principale.