All’inizio di Se una notte d’inverno un viaggiatore lo spaesato lettore di Calvino si fa largo a fatica in una libreria-labirinto, attraverso «il fitto sbarramento dei Libri Che Non Hai Letto», tra i «Libri Già Letti Senza Nemmeno Bisogno D’Aprirli» e i «Libri Che Se Tu Avessi Più Vite Da Vivere Certamente Anche Questi Li Leggeresti Volentieri Ma Purtroppo I Giorni Che Hai Da Vivere Sono Quelli Che Sono», sempre più intimorito e sgomento da «ettari ed ettari» di scaffali che proliferano e si estendono senza soluzione di continuità – prefigurazione di uno scenario contemporaneo che, soprattutto in certi periodi dell’anno, rasenta il parossismo, schiacciando il lettore sotto il peso del classico dilemma: «Così tanti libri, così poco tempo».

Americana di Luca Briasco (minimum fax, pp. 311, euro 18,00) si propone come una esauriente mappa della narrativa americana contemporanea (con qualche salto indietro fino agli anni sessanta), in grado di fornire coordinate di lettura che, come indica l’autore nella premessa, «invoglino a prendere (o riprendere) in mano romanzi e racconti, per goderne la bellezza e il fascino», e che possano orientare il lettore verso una scelta consapevole in libreria; quaranta schede, molte delle quali derivano da recensioni apparse originariamente su Alias, che ridisegnano il panorama della letteratura statunitense attraverso percorsi accattivanti e riflessioni mature e originali, rispecchiamenti inediti e filiazioni sempre puntuali e feconde.

Oltre a una solida formazione di americanista, infatti, Briasco ha alle spalle un’esperienza quasi ventennale nell’editoria (prima come direttore editoriale presso Fanucci e poi come editor per Einaudi Stile Libero) e un’altrettanto brillante carriera di traduttore. Da sempre affetto da quel «mal d’America» che Ugo Rubeo ha definito «un’affezione a volte ereditaria, a volte a carattere epidemico e il cui decorso, nella grande maggioranza dei casi, è comunque benigno», negli ultimi anni Briasco ha scoperto e presentato al pubblico italiano una serie di autori oggi considerati imprescindibili per qualsiasi discorso organico sulla letteratura d’oltreoceano.

Con Americana – titolo semmai un po’ inflazionato, ma che puntualmente rimanda alla fondamentale «scoperta» italiana dell’America ad opera di Vittorini – Briasco è riuscito in un’impresa da cui pochissimi sono usciti indenni: tratteggiare un affresco che ripercorre le tendenze più significative della narrativa statunitense senza la pretesa di porsi come definitivo; quasi una mappa celeste che, nell’indicare alcune tra le stelle più lucenti del vasto cielo americano, traccia delle possibili costellazioni, lasciando al lettore la facoltà di unire i puntini in modo differente e disegnare figure alternative, scoprire nuove connessioni, costruire i propri rimandi.

Il saggio introduttivo – vero e proprio valore aggiunto – identifica il nume tutelare della letteratura americana contemporanea in David Foster Wallace, la cui scheda è situata al centro esatto del libro: il suo nome appare spesso quale pietra di paragone con cui gli scrittori si sono confrontati e continuano tuttora a fare i conti.

Secondo Briasco Infinite Jest «proietta l’autore fuori dalle secche della metanarrazione, dell’autorefenzialità e dell’ironia postmoderna», senza però «farlo franare nelle secche di un realismo di ritorno». Proprio da questo nodo derivano quelli che Briasco identifica come i due modelli intorno a cui ruota la narrativa americana della seconda parte del Novecento: da una parte lo «status author», che a partire dall’esempio di Wallace raccoglie il testimone del postmoderno «sottoponendolo a una revisione profonda ma riaffermandone le premesse»; dall’altra il «contract author», alla cui categoria appartengono invece quei narratori di stile più realistico, «che muovono da una sorta di accordo con chi fruirà dei loro libri, e che di quest’accordo, di questa mediazione, fanno il proprio orizzonte di riferimento», seguendo l’esempio offerto dal Jonathan Franzen delle Correzioni. Proprio tra questi due poli – tra «Le vie del postmoderno», titolo della prima sezione, e «L’eredità del realismo», a cui è dedicata la penultima parte – si snoda il ricco percorso tematico di Americana, che nell’ultima sezione si arrischia a proporre «Un nuovo canone?», il cui punto interrogativo lascia aperte più possibilità.

In ogni scheda Briasco delinea con brevi, essenziali pennellate la carriera degli autori trattati, il contesto storico-geografico in cui scrivono e i loro lavori di maggior interesse, oltre a tracciare alcuni percorsi tematici e a suggerire affinità culturali. E se qua e là si lascia andare a entusiasmi (forse alcuni eccessivi) dettati da inevitabili preferenze personali, ciò è dovuto al fatto che la propria passione di lettore forte e il fascino verso le storie narrate vengono provvidenzialmente messi in primo piano rispetto alla indubbia vastità dell’esperienza acquisita.

Merito di Briasco, infatti, è aver concepito Americana non come l’erudito, enciclopedico «libro di libri» che un’opera del genere poteva facilmente diventare, ma come un personalissimo «libro di storie», in cui i temi e gli autori dialogano e si rincorrono l’un l’altro attraverso una fitta rete di rimandi che, rimbalzando di pagina in pagina, valica i confini del testo e prosegue con altre dieci schede pubblicate a cadenza settimanale sul sito della casa editrice. Alla luce di tutto questo si perdonano volentieri a Briasco le dolorose esclusioni (Toni Morrison e Bernard Malamud su tutti) peraltro anticipate nella premessa; quanto all’evidente disparità di etnia e gender degli autori trattati, essa è il frutto di rivendicati criteri «parziali e soggettivi», ovviamente «non casuali», e per fortuna estranei alla political correctness.

Ogni scheda è un bellissimo tour de force e un irresistibile invito alla lettura; ogni autore raccontato da Briasco accoglie tra le sue pagine chi legge narrando non solo una storia individuale, ma anche la storia della regione da cui proviene, della tradizione da cui prende vita la sua scrittura, arricchendo quel bagaglio di vicende americane che si intrecciano e si dipanano nella nostra penisola da quasi un secolo; da quando, cioè, i «padri» della letteratura americana in Italia – Vittorini, Cecchi, Pavese, Soldati, Lombardo, fino al Calvino delle Lezioni americane e oltre – aprirono le porte di quel paese da noi ancora in larga parte sconosciuto, ammirato e vagheggiato attraverso la «purezza» e la «ferocia» della sua letteratura: inizialmente come alternativa democratica alla ristrettezza di vedute del regime fascista, poi come imprescindibile punto di riferimento – nonostante le sue storture e contraddizioni – della cultura europea ancora per tutta la seconda parte del Novecento.

In questo senso Americana, nella scelta di trattare soltanto libri «accessibili al lettore in edizione italiana», è a tutti gli effetti una cartografia culturale della «nostra» America di inizio millennio.