Intorno al Berlinale Palast, ieri immerso in una dolcezza quasi primaverile, si comincia a parlare dei premi scommettendo sulle decisioni possibili del presidente di giuria Paul Verhoeven. Le stellette dei critici – indicativo parziale – pubblicate su Screen International fanno vincere per ora Una Mujer Fantastica di Sebastiano Leilo, superato nel cuore del pubblico festivaliero solo da Aki Kaurismaki col suo The Other Side of Hope.

Sarebbe divertente vedere cosa dirà Verhoeven nella discussione finale con la sua giuria perchè il concorso della Berlinale si sta rivelando piuttosto mediocre, a parte i due film citati, e il molto bello On Body and Soul di Ildiko Enyedi e, siamo sicuri il nuovo Hong sang-soo che deve ancora passare non rimane molto altro.

Per scovare visioni attraenti ci si deve muovere parecchio tra la programmazione delle altre sezioni, «mostruosa» anche questa, con un numero altissimo di film (spesso non necessari). Al Forum era il bel film di Elise Girard, regista francese scoperta con un esordio sorprendente qualche anno fa, Belleville Tokyo, commedia amorosa affidata alla coppia di interpreti, Valèrie Donzelli e Jèrèmie Elkaim, e soprattutto a una scrittura imprevedibile, eccentrica fusione di comicità, malinconia, paradossi, traiettorie sentimentali nella sua città, Parigi, col sentimento di un’ironia forte però mai cinica.

La scrittura (Elise Girad è autrice della sceneggiatura insieme a Anne-Louise Trividic) è anche la materia di questo nuovo film, così come Parigi, il Quarter latin, di cui l’autrice cerca la flanerie segreta e non il mito vintage abusatissimo, che percorriamo insieme ai personaggi nella luce magnifica di Renato Berta – suo complice anche nel primo film. C’è una ragazza (splendida Lolita Shammah) un po’ sperduta arrivata nella capitale dalla provincia che vive con un’amica, effervescente Virginie Ledoyen, sempre o quasi rinchiusa nella sua stanza a fare sesso urlatissimo con l’amante (sposato). Mavia, questo il nome della ragazza, vorrebbe scrivere, il suo rifugio è un piccolo caffè dove su un quaderno fissa le sue giornate, i sentimenti, i pensieri che rimangono silenziosi nella solitudine.

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Un giorno il caso le fa incrociare lo sguardo di un anziano signore elegante, Giorgio, il proprietario di una libreria, anche se vendere libri non lo interessa molto. È brusco, scortese persino (Jean Sorel sempre bellissimo a 80 anni, non lo si vedeva sugli schermi da parecchio) ma con la ragazza è dolcissimo: l’accoglie, lei inizia a sistemare il caos dei libri, lui le offre una casa, la protegge, l’ascolta, la incoraggia nello scrivere, mai invasivo.

Una storia d’amore: questo è Drôles d’oiseaux, sospesa in un tempo fuori dal tempo anche se siamo oggi, narrata con pudore, affidata alla grana letteraria delle parole. Lì trova la sua espressione il desiderio, l’attrazione tra i due, lì hanno voce le loro dichiarazioni reciproche di amore, il ti amo che altrove, nei loro incontri «reali» rimane sospeso in sguardi complici, silenzi lievi.

C’è un mistero nella vita dell’uomo, un segreto che lo ha spinto a scomparire, la ragazza chiede, lui glissa. Prima era un editore, poi ha lasciato tutto, lei fantastica, forse storie di mafia, forse fugge la malavita, intanto la penna fissa sul taccuino questa passione impossibile, fantasmatica, chissà se solo immaginata. Come i segnali che si manifestano in città, gli uccelli che cadono morti dal cielo all’improvviso senza una ragione; l’inquinamento dicono i manifestanti contro il nucleare che incrociano in modo strano qua e là i passi della protagonista…

Lui sembra cinico, disilluso dalla politica, i pacifisti non li capisce, si deve essere concreti dice. Lei si oppone, vuole crederci che la ribellione sia da qualche parte ancora possibile. La regista depista, svia, nell’ellissi della relazione amorosa lascia entrare, in modo altrettanto discreto, altri passaggi importanti come il rapporto tra le generazioni e la trasmissione di un’esperienza politica coi suoi errori e le sue sconfitte, il buco che si è creato tra gli anni della militanza e delle battaglie più dure e il presente. Ma anche il suo possibile legame, quantomeno un passaggio, una differente prospettiva del mondo.

Chi è Giorgio lo dicono i ritagli di giornale (anche il manifesto!) che la ragazza scova in una scatola rossa, editore italiano legato alle Br, scomparso quarant’anni prima, nascosto da allora, ritrovato da chi non sappiamo, costretto a una nuova fuga – «Le cose oggi sono diverse». La somiglianza con Nanni Balestrini e la professione fanno pensare a Feltrinelli – di Balestrini appunto il romanzo l’editore – ma in questo prisma di specchi è solo una delle piste possibili pista perché la sua figura concentra quelle di molti altri, un’esperienza politica e generazionale intera distillata qui nell’immaginario, da un punto di vista di chi l’ha appresa da lontano e proprio in questa distanza trova la tensione giusta per riflettervi al di fuori delle contrapposizioni che accompagnano sempre il racconto degli anni dell’impegno. Facciamo un piccolo detour ma per noi in Italia importante: nel nostro cinema un film come Drôles d’oiseaux sarebbe stato impossibile, negato dalla censura del giudizio, della presa di posizione, che di solito accompagnano i soggetti cinematografici quando trattano quegli anni.

Tutto ciò a Elise Girard non interessa (e per fortuna), non è un film sugli «anni di piombo» Drôles d’oiseaux ma sulla trasmissione dei vissuti, su come confrontarsi con un passato quasi ignoto, senza cadute nostalgiche, ma con la consapevolezza del presente. È l’incontro amoroso che permette una sorta di «passaggio» come lo sguardo impercettibile tra i due uomini, Giorgio e il giovane nuovo amore di Mavia alla fine, che sembrano consegnarsi un orizzonte di possibilità. E l’idea che qualcosa può ancora accadere.