Un personaggio femminile ispirato dalle scene d’amore rimaste fuori da due film precedenti (Unknown Pleasure e Still Life), per un affresco che si snoda, come quello di Al di là delle montagne nel corso di parecchi anni e in luoghi diversi. È Ash Is Purest White, l’ultimo lavoro di Jia Zhang-ke presentato in concorso dove, insieme a Godard, è finora la entry più emozionante del festival. Come il film del regista francese, anche quello di Zhang-ke è un oggetto scavato nel cinema. Dietro a una storia ambientata nel sottobosco criminale, (i codici e la cultura jianghu, nella tradizione delle società segrete che ha alimentato il cinema di Hong Kong dal cappa e spada a Johnnie To), con citazioni dirette dai film di John Woo e Zhang Che, si cela infatti un intricato mosaico dei lavori precedenti del regista – dagli inizi a oggi, che qui tornano nei luoghi, nei personaggi, nei costumi, nei colori, nelle musiche quando non addirittura nelle inquadrature.

La prima che vediamo è il volto di una bambina piccola, dallo sguardo intenso, con un maglioncino giallo forte. È a bordo di un pullman zeppo di uomini. È un’ immagine – girata nel 2001 con una telecamera digitale, parte di un progetto documentario durato fino al 2006 – che già ci dice molto di Qiao (Zhao Tao, l’attrice chiave dell’ opera di Zhang-ke, e sua moglie). Anche quando la reincontriamo adulta (è il 2001, la storia del film dura fino a oggi), in una cittadina mineraria in declino, nel nordovest della Cina (come quella in cui è nato il regista), infatti, è circondata da uomini che parlano, giocano, fumano…..un universo maschile in cui lei – compagna del boss Bin (Liao Fang) si muove con i colori e le leggerezza di una farfalla, dietro a cui però si intravede una tempra d’acciaio.

La stessa che sfodera durante gli incontri, al fianco di Bin, con altri capi della mala, quando c’è da punire qualcuno e quando nel cuore della notte, una gang di teppisti in moto assalta l’auto su cui viaggia con Bin. Per salvare il suo uomo, pestato a sangue, lei tira fuori una pistola. Possedere un’arma da fuoco è illegale e Qiao, per non tradire lui, finisce in prigione. Cinque anni – un pigiama imbottito blu forte che sostituisce i suoi abiti leggeri. Dal colore dei fiori freschi la sua pelle diventa grigiastra. «La coppia del film esiste ai margini della società.

Sopravvive sfidando l’ortodossia dell’ordine costituito. Non volevo difenderli ma empatizzare con le loro circostanze. Per certi versi, mi ricordano i primi dieci anni della mia carriera quando era rischioso fare film che esprimessero la propria interiorità e riflettessero la realtà sociale», dice Zhang-ke nel press book del film. «Così mi sono buttato nella sceneggiatura come se stessi scrivendo mio percorso emotivo, della mia gioventù perduta e della mia fantasia del futuro: vivere, amare ed essere liberi.»

Come in Al di là delle montagne, il senso del tempo che passa e delle cose che cambiano/finiscono ha infatti un ruolo importantissimo nel film. Qiao esce di prigione e va a cercare Bin sulle rive dello Yangtze, il set delle dighe a venire di Still Life, con le sue città di gradini che attendono di essere inghiottite dall’acqua. Sono alcune delle scene più belle del film – che in questa porzione è stato girato in 35mm.

Lui è ricco ma spento, imbolsito, con una fidanzata giovane e possessiva. In lei, invece, brucia ancora la scintilla dello jianghu, l’anima del fuori legge e del sognatore. Anche se per cavarsela deve mentire e rubare. Anche se l’unico sogno possibile è quello di/da altri pianeti –incarnati da un dirigibile luminoso come l’astronave di Incontro ravvicinati, da un droghiere che vuole aprire un’agenzia di turismo extra terrestre.
Qiao riconquista la sua vita anche geograficamente tornando al paese dove è nata, travolto dallo tsunami edilizio. Siamo nella Cina di oggi. La bisca adesso è sua. L’ultima inquadratura, di lei sola (lui torna ma più va via di nuovo), vista attraverso l’occhio di una telecamera di sorveglianza è allo stesso tempo il simbolo di una prigione e della libertà: raccontare altre storie.