Mercoledì 24 febbraio è il giorno in cui riprenderanno le votazioni sul disegno di legge sulle Unioni civili e fino ad allora il Pd inseguirà una mediazione al suo interno, la strada la indicherà domenica Renzi aprendo la direzione del partito. Sono solo due le vie d’uscita dal pasticcio in cui lo stesso presidente del Consiglio ha condotto i suoi e tutto il senato, non essendo riuscito a risolvere lo scontro tra renziani doc. Lo stralcio delle adozioni dal testo Cirinnà è la via più impervia, sarebbe una sconfitta piena per la maggioranza del Pd e ieri la fazione del presidente Orfini – i cosiddetti «giovani turchi» – ha minacciato un ammutinamento uguale e contrario a quello dei catto-dem: senza le adozioni potrebbe non votare la legge (possono contare su 16 senatori). «Lo stralcio è una bestemmia», ha detto ieri il Pd Pizzetti, sottosegretario della ministra Boschi. Assai più probabile, allora, è che Renzi domenica prenda l’impegno per un nuovo disegno di legge che rafforzi il divieto – già previsto in Italia – per le coppie omo ed eterosessuali di ricorrere alla maternità surrogata, cercando così di incrinare il fronte dei cattolici Pd contrari alla stepchild adoption.

Faticosa ma più percorribile è anche una seconda strada, quella di «spacchettare» l’emendamento trappola del senatore Marcucci, una premessa che una volta approvata avrebbe messo in salvo il disegno di legge rendendo improponibili tutti gli emendamenti dell’ala cattolica. Una mossa che all’ultimo momento i grillini hanno deciso di non assecondare, condividendo l’obiettivo di mettere in sicurezza il ddl Cirinnà ma non lo strumento dell’emendamento «canguro». Una forzatura del regolamento già contestata quando servì a bruciare l’ostruzionismo contro l’Italicum e la riforma costituzionale.
L’emendamento Marcucci si presenta come un riassunto dell’intera legge, diviso in più punti. Una volta «spacchettato» i primi due (lettere a e b) potrebbero essere votati a scrutinio palese e così essere facilmente approvati. Salverebbero però solo i principi generali della legge, il varo cioè delle unioni civili come «specifica formazione sociale». Dal punto c in avanti – e cioè da dove si precisa che alle unioni si applicano le regole previste dal codice civile per le famiglie e il matrimonio – potrebbe essere chiesto il voto segreto e la legge tornerebbe a rischio. Soprattutto sul punto f che è quello che riguarda la stepchild adoption.

A meno che il Movimento 5 Stelle non decida di rivedere le sue convinzioni, appoggiando il «canguro» fatto a pezzi dopo aver bocciato il «canguro» tutto intero. Ma trattandosi di un’obiezione di principio non si vede come, sarebbe niente altro che una retromarcia di fronte alle proteste dei sostenitori delle unioni civili e degli stessi elettori grillini. I circa trenta voti del gruppo M5S (due o tre senatori approfitteranno della libertà di coscienza concessa da Grillo e Casaleggio) sono indispensabili per compensare l’annunciato voto contrario dei 26 ultra cattolici del Pd. Quasi tutti renziani convinti, e della prima ora. Ragione per cui la sfida riguarda direttamente il presidente del Consiglio, che ha provato a tenere fuori il governo dall’impiccio delle unioni civili per evitare di vederlo travolto dal voto segreto, ma che è ugualmente finito coinvolto come capo partito e ancor più capo corrente. Se non riuscirà a ottenere la disciplina dei suoi è destinato a perdere questa partita. Non per nulla la minoranza bersaniana sta tentando, con ritardo, di incalzarlo. «Mi aspetto da Renzi la stessa determinazione avuta sulla legge elettorale e il Jobs act», ha detto Roberto Speranza. Dimenticando che allora per Renzi si trattò di piegare proprio la resistenza dei bersaniani, e fu più facile.

Nel frattempo arriva direttamente dal papa quello che a prima vista può sembrare un assist ai sostenitori della legge sulle unioni civili: «Io non so come stanno le cose nel parlamento italiano. Il papa non si immischia nella politica italiana». A ben leggere però non si tratta di una presa di distanza dall’attivismo della Cei e del cardinale Bagnasco contro la legge Cirinnà. Al contrario, Bergoglio nel corso del volo di ritorno dal viaggio in Messico ricorda ai giornalisti di aver già detto ai vescovi italiani «col governo italiano arrangiatevi voi, perché il papa è per tutti e non può mettersi in politica, concreta, interna di un paese». Una delega che sembra proprio un riconoscimento delle scelte della Cei, tantopiù che lo stesso papa ricorda la sua battaglia da arcivescovo di Buenos Aires contro la legge sulle nozze gay: «Ricordo uno che disse “alla fine il mio voto preferisco darlo a Kirchner e non a Bergoglio”. Ecco un esempio di coscienza non ben formata».
Il movimento Lgbt, già protagonista delle manifestazioni del 23 gennaio in favore del disegno di legge, si prepara a tornare in piazza. Ma la data che circolava ieri, sabato 27 febbraio, rischia di essere troppo tardiva: il momento della verità in senato arriverà tra mercoledì e giovedì prossimi. Sono previste due sedute-fiume.