Sin dalla foto di copertina del bel volume Scenari in movimento. Gli anni settanta e ottanta in Alto Adige/Südtirol, a firma di Grazia Barbiero, uscito con l’editore Raetia con sede a Bolzano (pp. 280, euro 19.90) si capiscono i due ruoli fondamentali ricoperti dall’autrice. Da sempre ha militato attivamente nel partito comunista italiano, di cui oggi sono rimaste pochissime schegge in un Pd sempre più frastagliato e sempre meno di sinistra: in copertina vediamo una giovane donna, nel 1972, durante un incontro con operai della Montedison di Sinigo (fabbrica voluta a suo tempo da Mussolini per italianizzare la zona con operai provenienti dal sud dopo che l’Alto Adige nel 1919 col Trattato di Pace di Saint-Germain/Parigi, grazie alla disgregazione dell’Impero Austro-ungarico che vide nascere anche la Repubblica Cecoslovacca e l’Ungheria, fu annesso all’Italia) e in quarta di copertina vediamo due donne, una bionda e una mora, sedute sotto un albero nel tipico look anni settanta durante un incontro alla Festa dell’Unità del 1976, sempre a Merano.

LA DONNA BIONDA è Grazia Barbiero, quella mora Gabriella Mammero, entrambe molto impegnate nel movimento femminile alto-atesino un po’ diverso rispetto a quello nazionale essendo stato «parte integrante di un’idea e di una pratica culturale e politica che concepiva e viveva la terra di uno dei confini più contrastati della storia d’Europa, come occasione per costruire, giorno dopo giorno, identità plurime, fortificate – tutt’altro che indebolite – dallo scambio tra storie e biografie che avevano e hanno per riferimento lingue e culture differenti», come scrive la stessa Barbiero. Perché «nei luoghi di confine si vede meglio la stoffa dei tempi che corrono». La Provincia autonoma di Bolzano è realtà trilingue (tedesca, italiana e ladina), e al contempo plurilingue con la migrazione in aumento; di conseguenza anche i partiti politici lo erano e lo sono – o meglio – dovrebbero esserlo. Infatti, l’allora Pci aveva la doppia sigla qui: Pci/Kpi (Kommunistische Partei Italiens) e la sezione femminile non era una classica sezione di partito ma piuttosto un collettivo in cui nascevano tante idee nuove che prendevano forma via via nei vari consultori, asili-nido e nelle case per le donne vittime di violenza.

Si voleva intervenire laddove «la ricca autonomia si era ‘macchiata’», ossia nelle ristrettezze sul piano sociale e soprattutto nella separazione tra le culture, vigendo per tanti anni lo slogan inventato dall’allora assessore alla cultura Anton Zelger: «più si separa, meglio si vive». Non di «convivenza» si trattava ma di un «vivere accanto» come vicini di casa in un condominio su due scale separate, dove ognuno organizza per sé e in modo diverso. Barbiero riesce bene a descrivere i prodromi del «movimento», non tralasciando le conseguenze di quella linea dura che mirava nei casi più estremi a un Tirolo unificato (con il Tirolo del Nord austriaco), soprattutto nella persona di Eva Klotz, entrata in consiglio provinciale nel 1983, figlia di Georg Klotz, uno dei protagonisti dei famosi attentati terroristici ai tralicci dell’energia elettrica negli anni sessanta ai fini di richiamare l’attenzione internazionale sul «caso Sudtirolo».

PER REAZIONE, tra la popolazione italiana, sentendosi in minoranza, votarono in massa il Movimento sociale italiano/Destra italiana riuscendo a portare un consigliere in provincia, e raggiungendo nel capoluogo la notevole percentuale del 30%, unicamente perché esso si dichiarò difensore dei diritti degli italiani a fronte di un partito che si voleva (e si vuole) di tutti quando invece faceva e fa gli interessi di pochi: il Südtiroler Volkspartei.
Protagonista della scena politica in Alto Adige sedendo in consiglio provinciale e regionale dal 1979 al 1988, facendo parte del comitato centrale del Pci e successivamente del consiglio nazionale del Pd, infine consulente e collaboratrice dell’ufficio di presidenza della camera dei deputati dal 1996 al 2019 e componente del comitato scientifico Fondazione Alexander Langer, Grazia Barbiero ci immerge – con la misura di un linguaggio letterario – nei due decenni da lei riassunti in diciannove capitoli con tanto di sottocapitoletti creando un flusso continuo, come lo è la Storia vista da lontano, partendo da «Il Vietnam come spartiacque» e «Il movimento delle donne» per parlare del femminismo tra l’Aied (Associazione italiana per l’Educazione demografica) e le idee di Aleksandra Kollontaj praticate dalle donne di Bolzano e Merano, ma anche le lotte delle «operaie del Loden» alla fabbrica Merlet di Merano e il «censimento etnico nominativo» del 1981, in cui ognuno e ognuna doveva «dichiararsi» di appartenere al gruppo linguistico tedesco, italiano o ladino. Qui non poteva mancare Alexander Langer che aveva dedicato la vita proprio a quest’argomento, eletto da Enrico Berlinguer come compagno di strada.

LO IMPARIAMO nel punto del libro dove l’autrice ci fa sapere di essere stata nominata nel 1983 come candidata a segretaria della federazione autonoma del Pci/Kpi perché convinto che proprio la sua idea di politica poteva «modificare la vecchia ‘forma partito’ rendendola non subalterna né istintivamente conflittuale con le nuove soggettività politiche» essendo «la relazione dialettica con i movimenti la sola via per garantire al partito una lucida vitalità e un’adeguata comprensione delle cose». Non ci presenta una storia da un punto di vista ombelicale – come spesso accade – anzi, Grazia Barbiero apre a eventi e fatti nazionali se non internazionali per far riflettere chi legge sulla reciprocità di una politica che vuol dirsi tale nel senso originale della polis, ossia la comunità.