All’inizio sembra un paesaggio disegnato su una parete qualunque. Cactus e alberi a testimoniare il sole che batte implacabile, in un’estate mediterranea. Poi, accade qualcosa, una crepa fra le foglie e la vegetazione – quella vera – irrompe dall’altra parte, spacca la superficie, la fa esplodere. È il muro che si erge in Medioriente, infatti, lo scomodo supporto di quell’ameno panorama ripreso nei suoi dettagli e in inquadrature più ariose. A documentare la forza della natura che scompagina e spazza via le sovrastrutture politiche dell’uomo (la separazione/segregazione innalzata da Israele in Cisgiordania nel 2002) è un film sperimentale di Laurent Marechal (Digione, 1975), intitolato Ligne Verte, linea verde, dove il verde sta per il confine oltre il quale cessa il fuoco e la vitalità delle piante sempre rigenerantesi. Il conflitto bellico si sviscera anche così, con un Liquid Landscape, un’installazione visiva che permette di entrare fra le pieghe della realtà, deviando verso l’utopia. Le rovine che ci mostra Marechal, infatti, ancora non esistono e il muro è là, reinventato con tecniche trompe-l’oeil o grigio e minaccioso, in tutta la sua imponenza.
Siamo al Macro Testaccio dove si è inaugurata Digital Life, nell’ambito del Romaeuropa festival, la rassegna dedicata ai linguaggi contemporanei e ai loro intrecci con le nuove tecnologie. Fino al 10 novembre, sarà possibile un tour ad alto impatto emotivo fra le metropoli dimenticate, ricreate, accumulate, distrutte. Una passeggiata virtuale per cittadini planetari che si snoda tra il Macro e il Maxxi (dove viene presentato l’ultimo lavoro dell’artista friulano Daniele Puppi, attivo fra Roma e Londra).
In Staging Silence, il belga Hans Op De Beeck ricostruisce, a partire da banalissimi oggetti quotidiani, paesaggi del ricordo, skyline di città come New York (con l’aiuto di una selva di bottiglie rovesciate e un vetro a creare le luci giuste, adatte alle foreste di grattacieli) o malinconici scorci giapponesi, dove tutto è fluido e gli elementi naturali si ripropongono in miniatura, vento acqua fuoco, terra. Il «set» cambia continuamente, in un artigianato dello stupore che risveglia antiche memorie in ogni visitatore della mostra.
Territori acquatici, slittamenti delle coordinate fisiche e psicologiche (il sopra e il sotto) è ciò che viene suggerito da Coagulate dall’artista rumeno (che vive in Francia) Mihai Grecu: boccheggia una murena con troppa poca acqua per la sua sopravvivenza, tenta di respirare un uomo, ponendosi oltre i flutti almeno con la testa, trait d’union fra due mondi, quello «statico» e quello «mobile». Il battito amplificato di una farfalla imprigionata su un congegno degno di un film di Cronenberg è, invece, lo scorrere del tempo e il propagarsi del suono secondo Donato Piccolo, che riesce anche ad intrappolare l’aria dentro parallelepipedi simili alle bare di cristallo delle favole.
Bellissima, infine, l’elegia dei ghosts narrata in Under Construction: quell’addentrarsi tra le macerie della vecchia Shanghai, in compagnia di inquietanti apparizioni, del cinese Zenchen Liu