Dopo l’emergenza e la solidarietà, è l’ora delle passeggiate tra le macerie nelle zone a cavallo tra le Marche e il Lazio demolite dal terremoto del 24 agosto scorso. Una settimana fa era stata la volta di papa Bergoglio – con la gente che si è anche lamentata perché la visita è arrivata a sorpresa e perché solo pochi fortunati sono riusciti ad avvicinarlo – ieri invece si è fatto vedere il premier Matteo Renzi, a portare la lieta novella dell’approvazione da parte del consiglio dei ministri dell’atteso «decreto terremoto». L’annuncio, in realtà, era stato fatto via Twitter nella prima mattinata («Avevo promesso: non vi lasceremo soli. E così faremo. Tutti insieme»), poi la visita è stata una serie di lampi, a illuminare il cielo grigio della campagna referendaria.

Già perché è difficile non inquadrare nell’ottica dello spot quanto accaduto ieri: i contenuti del decreto erano già noti da almeno dieci giorni, e quella di Renzi è stata soltanto un’apparizione, condita dalla consueta abilità a spacciare per novità decisioni che nuove non sono.

A testimoniare che l’occasione era buona solo per scattare qualche foto ci sono i tempi della visita: dalle 12.55 alle 13.35 nell’ascolano, seguita da un’altra oretta scarsa tra Accumoli e Arquata, poi via verso Roma per presentare al resto del mondo i contenuti del provvedimento governativo. La gita fuori porta tra i terremotati è stata un insieme di strette di mano, camminate con il caschetto in testa, due parole ai sindaci, ampie pacche sulle spalle e gli sfollati in silenzio ad ascoltare, ancora in bilico tra i nervi sempre più tesi e la volontà di fidarsi, una volta di più, della promessa di un futuro in cui tutto tornerà ad essere come prima, anzi meglio di prima. Si vedrà.

Il decreto, ad ogni modo, prevede il risarcimento integrale per tutte le case distrutte (anche le seconde, oggetto di elucubrazioni e malumori nelle scorse settimane), prestito d’onore per le attività produttive, cassa integrazione per i lavoratori delle imprese colpite dal sisma, moratoria di un anno (fino al 30 settembre 2017) sulle tasse e 200 milioni di euro subito per avviare la ricostruzione. A conti fatti arriveranno 4 miliardi di euro in 10 anni, tanto ci vorrà rimettere tutto in ordine. Il malloppo sarà gestito da Errani, scavalcando i sindaci, che fanno notare le proprie perplessità, ma sempre sottovoce: sulla loro testa continuano a pendere le inchieste delle procure di Ascoli e Rieti, che se ancora senza iscritti nel registro degli indagati, si stanno concentrando proprio sulle eventuali responsabilità amministrative sugli edifici pubblici venuti giù. Insomma, meglio tenere al momento un profilo basso.

Prima del tour tra le macerie, Renzi aveva fatto visita alla fabbrica di un quasi amico storico come Diego Della Valle: allo stabilimento Tod’s di Casette d’Ete, in provincia di Fermo, il premier si è presentato con il consueto sorriso larghissimo e l’aria di chi sa di avere delle frecce al proprio arco. Il colpo era preparato: già domenica pomeriggio, infatti, Matteo il ricostruttore aveva annunciato a Massimo Giletti e al pubblico di Raiuno che proprio Della Valle avrebbe aperto uno stabilimento ad Arquata del Tronto. «È un vero esempio – ha detto Renzi –, Della Valle non si dimentica delle proprie radici e in un momento di difficoltà decide di aprire un’azienda». Poi l’auspicio che anche gli imprenditori del Lazio facciano lo stesso ad Amatrice e Accumoli. Appresa la notizia – anche questa già filtrata nelle scorse settimane –, uno degli sfollati marchigiani, che ha perso la casa ma evidentemente non lo spirito, ha commentato con una battuta feroce: «Per comodità la fabbrica sarà chiamata “referendum”».