Un passamontagna colorato e una linguaccia di pezza: i giudei della festa di San Fratello in provincia di Messina hanno invaso con la loro fanfara sfavillante e ribalda l’isola di Ortigia nel corso della cinque giorni che componeva l’Ortigia Sound System. È stata proprio l’iconografia legata a questo rito sincretico di origine medievale, pagano e cattolico, a regalare ogni immagine, ogni logo, ogni concept grafico all’edizione 2018 di questa rassegna dedicata principalmente ai suoni dell’elettronica e della club culture. I giudei e la loro pratica legata ai riti della settimana santa si sono intrufolati con i loro ottoni (del resto intrufolarsi, disturbare, è la loro mission anche nel rituale pasquale), mettendo in scena incursioni sonore tra un concerto e un dj set e sfilando per le vie del centro di Ortigia, dal mercato al castello Maniace.

Nelle fila di questa masnada di musicisti impertinenti non avrebbe sfigurato l’ottantaduenne giamaicano che invece ha scelto di regalare il proprio verbo sonoro al palchetto centrale del castello. Del resto Lee «Scratch» Perry, perché é di lui che stiamo parlando, non ha mai avuto problemi né a produrre magnifici sberleffi sonori né ad agghindarsi ed anche per il suo passaggio da Ortigia ha scelto una mise fatta di monili sfavillanti, make-up facciale variopinto e cappellaccio. «I love you and I dub you» ha declamato a un certo punto nel suo microfono coperto di piume, sintetizzando così il suo set torrenziale fatto di pulsioni dilatate, dondolanti e tossiche. Si è trattato di uno degli zenith emozionali di un festival che, giunto quest’anno alla sua quinta, edizione, ne ha comunque inanellati molti altri. Il direttore artistico Germano Centorbi ha come sempre preparato un cartellone pieno di appuntamenti. Ogni giornata inaugurata da una serie di boat party con dj (K7 Sound System, Young Marco, Suzanne Craft tra gli altri) e musicisti (quest’anno è toccato ai Nouvelle Vague suonare al tramonto su un battello) e poi chiusa a notte fonda in uno dei palchi piazzati nell’Antico Mercato o nel foro all’entrata del castello. Molte le anteprime nazionali e i concerti speciali.

Tra questi ultimi va segnalato l’incantevole esibizione di Erlend Øye (norvegese di Bergen naturalizzato siracusano) al tramonto. Chitarra e voce, abbarbicato su uno dei bastioni del castello, l’ex Kings Of Convenience ha inscenato una sorta di inno acustico alla luna che nel frattempo saliva nello scenario alle sue spalle. Qualche minuto dopo, nel main stage, è toccato a Cesare Basile mettere in scena i suoi canti in vernacolo tra folk e rock tribale e poi ancora a James Holden che con i suoi Animal Spirits ha tessuto trame davvero fluorescenti e ipnotiche. Il Producer inglese si è accompagnato a Tom Page dei Rocket Number One alla batteria, Etienne Jaumet al sax, Marcus Hamblett alla cornetta e Lascelle Gordon alle percussioni per un set che, come il suo ultimo album, ha abbracciato una sorta di trance multietnica legata al jazz terzomondista di Don Cherry e Pharoah Sanders e deviata verso il 2018 dal suo abile manovrìo alle macchine e alla loop machine.

Dopo di lui è arrivato il ciclone Omar Souleyman. Accompagnato solo da un fido tastierista (incaricato anche della gestione delle basi ritmiche) il vocalist siriano lanciato in occidente dalla produzione di Four Tet, ha incendiato con la sua «dabka» l’arena dell’Ortigia Sound System certificando il fatto che una musica per i matrimoni di Damasco può essere senza problemi trasferita in un festival di musica elettronica europeo. Il problema casomai era tutto a carico di Dan Shake, dj di Detroit licenziato dalla Mahogani Music che nel set successivo ha dovuto far rientrare il pubblico nei ranghi, ma il suo dj set che attinge all’afrobeat era comunque perfetto per quest’opera di torrida decompressione.

Altri momenti topici della rassegna: il dj set trascinante di Hot Chip Megamix, il live del trio di Kamal Williams, il set acustico dei siciliani Da Black Jesus, le filastrocche trascinanti del rapper londinese di origini latinoamericane Timothy Lacoste, la sofisticata electro dell’irlandese trapiantata a Liverpool Orlagh Dooley aka Or:La, la potente carovana partenopea della serata finale con Mystic Jungle, Filippo Zenna e sopratutto Nu Guinea impegnati in dj set ispiratissimi e trascinanti. Non si può dire la stessa cosa di Alba Farelo, in arte Bad Gyal, novità da esportazione della scena catalana, alfiera di un mix di trap, reggaeton e dancehall che se regge il tracciato di un videoclip si perde rovinosamente nell’itinerario più esteso di un’esibizione live. L’autotune non sempre funziona da ciambella salvagente, perlomeno non l’ha fatto nel mare di Ortigia.