I dodici racconti che compongono Casalinghe americane di Hellen Ellis (traduzione di Chiara Spaziani, La Tartaruga, pp. 150, € 19,00) vanno dalla forma breve a quella brevissima. Il primo gruppo propone storie legate a situazioni urbane stereotipate (liti condominiali, cene a casa con amici), nelle quali uno o più personaggi femminili esasperano le circostanze – in qualche caso esaurendole in un fulmineo monologo interiore – fino a sfondare nel paradosso o nel grottesco: con malcelata insistenza di marca squisitamente televisiva, questi racconti vanno alla ricerca di una comicità pura e distruttiva che mira al programmatico ribaltamento di quelle immagini consunte da cui le vicende si originano.

Così il club del libro si rivela un’associazione di insinuanti sfruttatrici; la diatriba per la boiserie nell’androne diventa un corpo a corpo sanguinario (la cui evoluzione è restituita soltanto da uno scambio di email); il concorso di bellezza locale è squadernato da una signora che offre un ambiguo servizio di «Operazione soccorso reginette», e «aiuta» le ragazze del sud a darsi alla macchia nell’ambito di un «ricollocamento» borghese, a New York; in questi racconti, quasi tutti della lunghezza di cinque-dieci pagine, il deliberato riferimento a un certo contesto socio-culturale è fin troppo evidenziato, e finisce forse per restringere quello spazio di comicità che l’autrice rivendica a sé, e che trova invece una più consona misura nei racconti del secondo tipo, quelli brevissimi.

Qui Ellis attinge all’efficace palinsesto del racconto-elenco, nel quale riesce a distillare la sua verve sardonica: per esempio in «Impara dai gatti» – mezza pagina di consigli da seguire, ricalcati per negazione o per imitazione sul comportamento dei felini. Si comincia da «Se qualcuno porta un sacchetto a casa tua, guardaci dentro» e si conclude con «Non devi andare dietro a ogni uccello che vedi». Qualcosa di simile accade nel racconto intitolato «Come diventare una signora a tutti gli effetti» e in quello titolato «Il linguaggio in codice delle signore del sud», feroce traduzione di frasi fatte che racchiudono razzismo e pregiudizi di ogni specie. Tra le pagine allestite da questa scrittrice originaria dell’Alabama, che è anche una grande giocatrice di poker, la vis comica è sostenuta da una discreta sensibilità per gli echi della minuta follia quotidiana – sempre che sentir parlare di ricchi newyorkesi non sia venuto a noia.