Pasolini, suggestioni antropologiche del Classico
Pier Paolo Pasolini, Edipo Re, 1967
Alias Domenica

Pasolini, suggestioni antropologiche del Classico

Novecento italiano L’influenza comico-grottesca di Luciano, le traduzioni non paludate per il teatro, i film... Andrea Cerica studia in un saggio per Mimesis filologico e simpatetico la presenza del mondo antico in Pasolini

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 4 settembre 2022

Pasolini e il mondo antico? Chi conosce anche solo qualche inquadratura di Medea sa che il tema è importante, dentro un’opera aperta a molti linguaggi e altrettante suggestioni: lo conferma la recente riedizione per Carocci del seminale libro di Massimo Fusillo, La Grecia secondo Pasolini (1996). Ma la presenza del mondo antico in Pasolini conosce una magmatica varietà, che richiede d’essere inquadrata secondo differenti approcci. Oltre alla necessità di esaminare anche l’approccio al mondo latino, conta il flusso di inediti e recuperi che ha ampliato la conoscenza dell’opera, soprattutto con il grande cantiere dei «Meridiani» (sette volumi, tra il 1998 e il 2003). Proprio quell’impresa ha mostrato come, anche per capire un «irregolare» come Pasolini, autore che si volle anti-filologico, sia utile, anzi necessaria la filologia: strumento in grado di districare i suoi materiali, «impuri» e però preziosi, perché improntati a una caratteristica cura.

Di rigori filologici armato, allora, Andrea Cerica studia in una ricerca ampia Pasolini e i poeti antichi Scuola, poesia, teatri (Mimesis «Classici contro», pp. 512, e 34,00). L’indagine affronta l’intero, abbondante corpus degli scritti, dagli esordi bolognesi al romanzo incompiuto e alle carte postume. Il punto di partenza è proprio lo scavo minuzioso nel periodo di formazione bolognese, al liceo e all’università: un tempo di ricerca, riconosciuto come decisivo. Rintracciati programmi di studio e libri di testo, Cerica individua quali autori classici, compresi alcuni meno consueti, il giovane Pasolini incontrò in quegli anni, con esiti destinati a fruttificare in sviluppi anche di molto successivi. Inevitabile la questione generale relativa al rapporto tra questo autore e i «suoi» antichi. L’indagine sui maestri e i libri giovanili restituisce l’immagine di un Pasolini studente curioso e ambizioso, come risulta anche dai materiali presentati in Pasolini e Bologna. Gli anni della formazione e i ritorni (a cura di Marco Antonio Bazzocchi e Roberto Chiesi, Cineteca di Bologna). Ecco allora i letterati professori del «Galvani», Carlo Gallavotti e Alberto Mocchino, e poi l’archeologo Pericle Ducati, incontrato in qualità di presidente della commissione di maturità, e finalmente Goffredo Coppola e Roberto Longhi, che più di altri docenti dell’Alma Mater attirarono l’attenzione di Pasolini. In alcuni casi l’influsso è noto e documentato, per esempio dalle lettere a Longhi (ma anche da taluni giudizi del professore), in altri ha carattere più indiziario.

Non per tutti i testi di memoria classica sembra dimostrabile la discendenza da un incontro scolastico. La prudenza forse non portò Alberto Mocchino a illustrare alla classe liceale la seconda egloga di Virgilio, così da colpire lo studente Pasolini, mentre le lezioni di Gallavotti e Coppola spiegano per qual via fossero noti testi di Saffo, di recente pubblicazione, e frammenti, non immediatamente accessibili, del latino Lucilio. Similmente, talune tavole nel manuale di Ducati mediarono immagini di arte greca: del resto, l’influsso di letture scolastiche è stato còlto pure nella scelta delle novelle filmate nel Decameron (1971). In Pasolini ‘classicista’ (e soprattutto traduttore di classici) si rilevarono severamente, in passato, infedeltà, difetti di approccio, errori. Più recente è il riconoscimento del carattere «creativo» e non «tecnico» del suo procedere: il che non esclude che quei testi si possano, anzi si debbano, indagare filologicamente, individuandone i percorsi. Gioverà riconoscere che, soprattutto nella fase matura, lo sguardo di Pasolini verso il mondo antico fu sensibile non già a rigori linguistici o storicistici, quanto a intenzioni artistiche, suggestioni letterarie, e anche a spunti, per esempio antropologici, legati alla sua ricerca intellettuale.

Anche il libro evidenzia il senso della cronologia. L’inquieta ricerca di Pasolini conobbe fasi radicalmente diverse, segnate talora da feconda contraddittorietà, e ciò ebbe precisi riflessi anche nel rapporto con il mondo antico. Le traduzioni dei lirici greci degli anni quaranta tenevano conto delle esigenze «filologiche», perché al tempo Pasolini coltivava anche ambizioni letterarie, per così dire, tradizionali. Diversi i testi per il teatro, negli anni sessanta: per queste traduzioni commissionate, che attirarono celebri stroncature accademiche, ogni attenzione andò alla resa della parola scenica, cercando la «disperata correzione di ogni tentazione classicista» in favore di una resa non paludata e invece «democratica». Gli esiti furono felici soprattutto con il Vantone da Plauto (1962), ma tutte queste traduzioni, come Cerica sottolinea, meritano di essere studiate come «originali». Agli antichi, per altro, Pasolini arrivò anche attraverso altre vie, compreso lo studio della tradizione italiana. Da Pascoli, oggetto della tesi di laurea con Calcaterra, vennero notevoli spunti di un «classicismo nuovo», e altri sorsero da proprie letture, come mostra la precoce scoperta di Kavafis (cui Cerica ha dedicato un volume specifico: «Un loro dio». La poesia di Kavafis nel primo romanzo di Pasolini, ETS). Quel che a Pasolini non interessò più, a partire da una certa fase, fu la cultura classica sotto forma, per troppi aspetti, di erudizione elitaria, quale veniva proposta in certo approccio scolastico, ai licei e nelle università: ma stimoli vennero anche dai tanti spunti nuovi di cultura, che egli tendeva a far propri con vorace curiosità, senza ansie di precisione accademica. Oltre alla presenza di richiami «di seconda mano», còlti più che assimilati, va considerata la parziale inaffidabilità di Pasolini nel dar testimonianza dei propri percorsi: e ciò pur in un autore che mostra di prendersi «sempre troppo sul serio».

Differenti urgenze (o condizionamenti) gli venivano dal problema ideologico, l’inquietudine politica, la scoperta delle periferie urbane e del mondo. Quindi, come prova una nota stagione del suo cinema, Pasolini ritrovò negli antichi una lente per guardare verso le realtà contemporanee che gli interessavano, con impegno civile. Ecco perché, in riferimento agli anni sessanta, i richiami ai materiali classici pasoliniani si fanno nel libro, di necessità, meno analitici e «fontanieri». Le suggestioni mitiche e antropologiche (e autobiografiche) di Medea e Edipo, più esplorate dalla critica, aprivano verso una grecità barbarica (e quindi poetica) opposta al mondo logico e razionale. Al tramontare anche di questa illusoria immagine, giunge la fase che per i lettori si compendia nell’arduo magma di Petrolio (anzi: Petrolio-Vas, giusta l’estrema edizione del centenario). Che l’incompiuto libro esibisca spunti classici è noto: vi si citano le Argonautiche, si gioca con la filologia, alle prese con un nuovo, destrutturato e inquietante Satyricon. Ma vi è anche una natura «comica», sorta da una miscela serio-comico-grottesca, che gli antichi chiamarono spoudaiogeloion. Cerica ne riconduce il modello soprattutto a Luciano di Samosata, lettura già giovanile, ora ispiratrice dell’acre riso. Chi meglio di un autore «cinico» per attitudine, dunque radicalmente antiborghese (e in fondo privo di speranza), poteva addirsi all’ultima fase pasoliniana?

Il saggio di Cerica esibisce minuzia di analisi e ampiezza di documentazione, impegnandosi a «spiegare Pasolini con Pasolini». Evidente anche una scelta (differente da quella di molti esegeti) di atteggiamento simpatetico, non agiografico, verso Pasolini. E proprio il serrato confronto con la sua vasta opera, e con coloro che l’hanno indagata, induce Cerica a rivendicare le vie nuove percorse, a correggere insigni studiosi, con i quali egli discute senza arroganza, ma con una parrhesia inusuale nelle prose accademiche. Inusuale è anche la solida convinzione intellettuale che sta alla base di una ricerca che fa risaltare la propria pasoliniana «purezza».

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