A 46 anni dalla morte di Pier Paolo Pasolini continua lo studio delle sue cose a dimostrazione della sua vitalità, del suo approccio straordinario alle molteplici varianti dell’arte. Certo, c’è da inquadrare bene l’autore negli anni in cui è vissuto e quindi mettere in atto uno spirito critico verso la sua opera senza cedere a mitizzazioni che danneggerebbero innanzitutto lui. Un angolo visuale, particolare e ricco di spunti critici sull’opera di Pasolini, arriva con il volume «La Sfinge nell’abisso. Pier Paolo Pasolini, il mito, il rito e l’antico» (Editrice UniversItalia, pagine 305, euro 18) raccolta critica che prende spunto dal convegno internazionale svoltosi a Salonicco nel 2015 nella Grecia in piena crisi economica.

E va subito detto, con Maura Locantore curatrice del libro, che «emerge ancora una volta quanto nell’opera di Pasolini e nei diversi linguaggi da lui sperimentati – poesia, teatro, cinema – la rivisitazione del mondo e del racconto mitico, sia pur in modo provocatorio e mai sistematico, offra modelli amati dall’autore, per incrociare le letture dell’antico con le suggestioni del moderno, o ancora oggi della contemporaneità». Sì, c’è in Pasolini, forse non abbastanza sviscerato, una ricerca di eternità dell’uomo che non può non perdersi nella lontananza; un’indagine che è più di una suggestione, è in fondo il suo manifesto artistico (e politico) dell’amore verso l’umano. Non si può racchiudere in poche righe la ricchezza dei saggi di questo volume. Basti citare quello di Angelo Favaro: «L’Opera Omnia di Pasolini è innervata da una speciale competenza-conoscenza del mito e dalla strumentazione etno-antropologica del leggendario, tanto della classicità quanto delle origini medievali e romanze; forte di una visione storica di impegno latamente gramsciano, ma che, in particolare, si avvale di una infaticabile e creativamente floridissima esplorazione mitopoietica. Così il poeta fonda e si diffonde ossessivamente in una costante eroicizzazione-eroticizzazione dell’esistenza e della realtà».

E mentre Roberto Chiesi, Bianca Concolino, Roberta De Stasio e Kostantina Evanghelou si soffermano rispettivamente su «Edipo Re», «Medea», «Calderon» e un tentativo di autobiografia del Nostro, tocca a Spiros Koutrakis sviscerare il rapporto tra pittura e ragazzi di vita sempre all’insegna del «mitologico» (i disegni di Pasolini, alcuni presenti in questo libro, vanno dal 1941 al 1975: un tempo che racchiude tutta la sua espressione artistica): «Partendo dalle sue origini, ha riempito parecchi fogli di carta nel disegnare dei ragazzi, quasi tutti anonimi, forse perché il ragazzo nominato a un certo punto invecchierà mentre il ragazzo anonimo rimarrà eternamente giovane sulla carta. Pasolini era sempre stato circondato da ragazzi: quando scopriva la sua particolarità sessuale, quando gli faceva il maestro e il professore, quando ha scelto di dedicare un libro intero a loro, quando richiedeva la loro compagnia a pagamento, quando infine gli è stata tolta la vita». Tocca alla compianta Angela Felice parlare del «Pilade» in rapporto alla giustizia (anche a quella subita dall’autore) mentre Mark Epstein si intrattiene sul teatro di parola. E poi gli stimolanti saggi di Giovanni La Rosa, Rino Caputo, Gabriella Macrì, Ioannis Michaelidis, Florinda Nardi, Anna Pevoski, Guido Santato, Gerasimos Zoras. E, come in ogni studio che si rispetti, il volume, con bella bibliografia pasoliniana, ha il merito di aprire strade nuove ai ricercatori futuri.