Parleremmo allo stesso modo se non esistesse il calcio? La domanda se la poneva il linguista Tullio De Mauro. Il linguaggio del calcio è ormai entrato nella quotidianità a tal punto da rappresentare un contributo nascosto al nostro parlare comune. Accezioni calcistiche come «scendere in campo», «fare squadra», «attacco», «difesa», da tempo sono entrati a far parte della comunicazione verbale di ogni giorno. Nella nostra capacità di parlare, di leggere, di scrivere, argomentava De Mauro, lo sport da tempo ha acquisito un’importanza rilevante, perché lo sport, il calcio in particolare, rappresenta uno stimolo allo scambio linguistico, alla convivialità, al confronto, anche se a volte i toni sono accesi. Inoltre i tecnicismi, che sempre più caratterizzano il mondo della sfera di cuoio, hanno unito le lingue di tutto il mondo.

I podemi
Pier Paolo Pasolini del quale oggi cade il centenario della nascita, in un articolo pubblicato il 3 gennaio del 1971 sul quotidiano Il Giorno metteva in risalto la natura semiotica del calcio: «Il football è un sistema di segni, cioè un linguaggio. Esso ha tutte le caratteristiche fondamentali del linguaggio per eccellenza, quello che noi ci poniamo subito come termine di confronto, ossia il linguaggio scritto-parlato. Infatti le parole del linguaggio del calcio si formano esattamente come le parole del linguaggio scritto-parlato. Ora, come si formano queste ultime? Esse si formano attraverso la cosiddetta doppia articolazione ossia attraverso le infinite combinazioni dei fonemi: che sono, in italiano, le 21 lettere dell’alfabeto. I fonemi sono dunque le «unità minime» della lingua scritto-parlata. Vogliamo divertirci a definire l’unità minima della lingua del calcio? Ecco: «Un uomo che usa i piedi per calciare un pallone è tale unità minima: tale podema (se vogliamo continuare a divertirci). Le infinite possibilità di combinazione dei podemi formano le «parole calcistiche»: e l’insieme delle «parole calcistiche» forma un discorso, regolato da vere e proprie norme sintattiche. I podemi sono ventidue (circa, dunque, come i fonemi): le «parole calcistiche» sono potenzialmente infinite, perché infinite sono le possibilità di combinazione dei podemi (ossia, in pratica, dei passaggi del pallone tra giocatore e giocatore); la sintassi si esprime nella «partita», che è un vero e proprio discorso drammatico».

L’abatino
Nella seconda metà del ‘900 hanno prevalso i neologismi di Gianni Brera diventati nel corso del tempo patrimonio linguistico di tutto il giornalismo sportivo: abatino rivolto al calciatore del Milan Gianni Rivera e ancor prima al velocista olimpico Livio Berruti. Poi tanti altri tra i quali intramontabile, incornare, rilancio, delfinare, traccheggiare e ancora acquivento tirato fuori in un meeting di atletica a Torino. Brera prese le distanze dal poeta di Casarsa e nel 1986 su Repubblica scrisse: «Sul dribbling come poesia, sghignetto pensando al jeu de fesses (gioco delle natiche) tanto guardato da Pier Paolo».

La classe
Per altri versi è stato Gianni Mura a distinguersi sul piano del linguaggio sportivo: «Una scrittura di classe per la capacità di adeguarsi al livello del lettore senza scendere mai di tono ed evitando, altro particolare significativo, qualsiasi contenuto moralistico» afferma Gilberto Lonardi nel libro Per Gianni Mura (a cura di Adalberto Scemma).

Dagli anni ‘80 in poi vi è stata una reciproca influenza tra i telecronisti che raccontavano le partite in tempo reale, anche con scelte linguistiche legate a stili individuali e i giornalisti della carta stampata, che scrivevano sulle partite di calcio anche nei giorni successivi. I radioascoltatori di Tutto il calcio minuto per minuto, ricordano ancora oggi le espressioni di Sandro Ciotti «Ventilazione inapprezzabile» oppure «Ha arbitrato Lo Bello di fronte a sessantamila testimoni» per criticare con garbo la condotta del direttore di gara, oppure la nota espressione di Ciotti «squadra operaia» per indicare la squadra che nel match si era impegnata fino in fondo, espressioni poi mutuate anche dalla carta stampata.

Le sportellate
Ma oggi, che lingua parla il calcio italiano? Un osservatorio interessante è rappresentato dai siti dei grandi quotidiani italiani e dei tre quotidiani sportivi, che in occasione delle partite di calcio aggiornano in tempo reale con una sintesi scritta le azioni di gioco. La sincronia tra l’azione in campo e la brevità della scrittura frammentaria ed essenziale, ha dato vita a un nuovo linguaggio. I verbi più ricorrenti sono: «fare a sportellate», «illuminare», «danzare», «esplodere il destro/sinistro». Gli aggettivi prevalenti: monumentale, sontuoso, magistrale, letale, velenoso. Ecco alcuni esempi dai toni enfatici che si riscontrano nelle cronache calcistiche dei quotidiani digitali: «Bruno Fernandes illumina sulla trequarti» oppure «Joao Mario danza sulla linea di fondo campo e mette in mezzo». Frequente il ricorso a parole che terminano in «ata», come scivolata, giocata, entrata, girata, rovesciata. Il suffisso «ata» trova ampio riscontro nei sostantivi coniati recentemente come imbucata, oppure sterzata, («Falcinelli, imbeccato da Orsolini, si libera con una sterzata secca di Koulibaly»), un termine che ha fatto capolino nel 2017, preceduto da spizzata («punizione di Calhanoglu dalla sinistra, spizzata di Dzeko»). Sono termini che oggi si leggono anche sulle colonne sportive dei quotidiani cartacei, visto che i giornalisti sono gli stessi.

Lessico occulto
La lingua ridotta ai minimi termini è ampiamente fruita da coloro che appartengono alle fasce sociali più deboli, soprattutto giovani delle periferie, perché con la crisi economica e il peggioramento delle condizioni di vita non hanno la possibilità di pagare l’abbonamento alle pay-tv per vedere le partite di calcio, oppure da coloro che per motivi di lavoro non possono stare comodamente seduti davanti allo schermo televisivo. La povertà di questo linguaggio, che ormai ha permeato sia le telecronache calcistiche sia i resoconti della carta stampata, è stato interiorizzato perfino dagli adolescenti che riportano certe espressioni nei loro temi di italiano a scuola. Un rischio dal quale il linguista Tullio De Mauro metteva in guardia già anni fa: «Non le poche centinaia di prestiti grezzi da altre lingue, ma lo spostamento complesso della massa lessicale nella direzione dello sport, lo spostamento occulto e nascosto, questo mi pare molto importante».