Fabrizio Gifuni è un attore di alto livello (del resto vanta inizi con Massimo Castri, e poi tra i protagonisti dell’ultimo Ronconi). Ma nella sua professione coltiva serie curiosità intellettuali. In particolare sui grandi scrittori contemporanei (il 10 giugno a Milano porterà in scena Giorgio Caproni). Da Gadda a Pasolini, i suoi reading lasciano il segno. Di quest’ultimo  aveva affrontato una parte del postumo Petrolio; ora allarga il suo respiro indagatore a una visione congiunta dei testi civili, Corsari e Luterani, intrecciati ai versi, in particolare il celebre Pianto dell’escavatrice. E riesce ancora una volta a sorprendere lo spettatore, per quanto del poeta friulano il recente quarantennale della morte abbia riproposto, più o meno ordinatamente, buona parte della scrittura. Nonostante questo, al Manzoni di Pistoia, nell’ambito dell’annuale festival dell’antropologia curato da Giulia Cogoli, venivano i brividi a scoprire che PPP si aspettasse già navi di africani in arrivo «a Crotone e a Palmi», e desse loro un valore di salvifica rottura. Una serata da ricordare, ripensare, e ascoltare ancora. Non abbiamo ancora cominciato a coglierne il valore.