L’annosa discussione sul rapporto (e sull’eventuale primato) fra canzone d’autore e poesia sembra essersi conclusa col verdetto, ormai accettato nel senso comune, secondo cui la poesia ha una sua musica interna e specifica mentre la canzone ha bisogno, per sostenersi, di una musica vera e propria. Una simile disputa non ha mai toccato quello che resta uno dei massimi momenti di collaborazione fra poesia e musica nella storia della canzone italiana e cioè l’incontro fra i testi del poeta Roberto Roversi e la musica di Lucio Dalla (pure destinato, giusto sull’abbrivio di quel contatto) a divenire a sua volta uno straordinario cantautore. All’inizio degli anni settanta, reduce dalla redazione di «Officina», libraio antiquario alla «Palmaverde» nel cuore di Bologna, firmatario di un libro poetico tirato al ciclostile (Le descrizioni in atto) e punto di riferimento etico-politico per una generazione sia di scrittori sia di militanti, Roversi sta scrivendo un bellissimo romanzo sui movimenti e le rivolte studentesche (I diecimila cavalli, edito nel ’76 dagli Editori Riuniti, nella collana «I David» di Gian Carlo Ferretti, purtroppo mai riproposto) ma sta anche pensando da tempo a una commedia musicale sul modello di Brecht e Kurt Weill; per parte sua, Lucio Dalla (che vive a Bologna all’angolo di piazza Cavour, dunque a cinquecento metri dalla chiesa sconsacrata di Santa Lucia, in via Castiglione, dove Roversi sta recluso come un cospiratore giacobino, aveva detto il suo amico Pasolini) ha alle spalle una formazione di jazzista autodidatta, ha già raccolto il meglio del repertorio di esecutore nell’album Terra di Gaibola e ha avuto un impensabile successo, a Sanremo nel 1971, con la canzone 4 marzo 1943, che sa di avventura marinara e cristianesimo evangelico, scritta per lui dalla storica dell’arte Paola Pallottino. Chi fa incontrare il poeta e il musicista è un vecchio amico di Roversi, il cineasta Renzo Cremonini appena trasferitosi alla produzione di dischi presso la Rca: fra il ’73 e il ’76, dall’incontro sortiranno tre album (Il giorno aveva cinque teste, Anidride solforosa, Automobili) e un cospicuo mannello di inediti, ora tutti riproposti, per la cura attenta di Antonio Bagnoli e sontuosa veste editoriale, in Nevica sulla mia mano. La trilogia, la storia, canzoni inedite e manoscritti (Sony Music, pp. 192 + 4 cd, s.i.p.) che appunto comprende un volume di documentazione, ricco di apporti autografi e iconografici, unitamente alla riproduzione dei tre storici long playng più un quarto di testi inediti e rari. Fra Dalla e Roversi si tratta proprio di un incontro prima che di una collaborazione. Roversi scrive canzoni come fossero poesie, e di fatto esse lo sono: soltanto è più netta la scansione ritmica, più marcata la distribuzione delle strofe mentre il tono è più assertivo, frontale, più stagliate o isolate le immagini (rispetto, per esempio, all’andatura incatenata e poematica di ogni singola lassa delle Descrizioni in atto). In altri termini, Roversi non diminuisce o coarta la sua poesia ma la piega a un passo maggiormente sciolto, nello stesso momento in cui la affida alla musica di Dalla, il quale mette a punto, volta a volta, una partitura percussiva, fra jazz e rock, su cui sperimentare qualsiasi oltranza del suono e della voce, da certi adagi fondi, cupi e dissonanti ai limiti dell’espressionismo, a talune invenzioni dove esplode invece il perfetto virtuosismo dei suoi vocalizzi (fino al confine della pura lallazione in Pezzo zero del primo album o, nel secondo, de La Borsa valori dove viene cantato, alla lettera, il listino dei titoli). Il giorno aveva cinque teste, un’immagine che viene da Mandelstam, non propone un tema specifico ma per così dire una serie di sondaggi dentro al reale, dal problema dell’emigrazione (memorabili in tal senso L’auto targata TO e L’operaio Gerolamo) ai momenti della vita quotidiana dove vibra la corda più esistenzialista, specie nella Canzone di Orlando che include il verso eponimo «nevica sulla mia mano». L’opera seguente, Anidride solforosa, è del primo album un pieno svolgimento specie sul versante politico-sociale, come attestano canzoni di argomento storico (Le parole incrociate, una micro-antistoria del Risorgimento) o di aperto impegno come Ulisse coperto di sale, Carmen Colon e Mela da scarto. Con il progetto del terzo lavoro che avrebbe dovuto intitolasi Il futuro dell’automobile, Roversi sembra finalmente approdare all’opera cantata sul modello di Weill: qui si tratta di raccontare la storia italiana per il tramite dell’automobile e dei suoi simboli, dall’occupazione delle fabbriche a Torino nel primo dopoguerra al mito fascista di Nuvolari, dalle Mille miglia del secondo dopoguerra al Boom economico nel segno della monocultura Fiat, fino alla esorbitanza consumistica e all’imminente disastro ecologico (e qui si vedano i testi di L’ingorgo e Il motore del 2000). Dalla dà fondo al suo estro sperimentale, metta in scena lo spettacolo ma al momento di registrarlo accetta l’imposizione della Rca, messa politicamente in allarme, che esclude ben cinque brani (fra cui I muri del ’21, Statale adriatica, Assemblaggio) e amputa l’esilarante, benché durissima e persino profetica, Intervista con l’Avvocato, solo ora pienamente reintegrata e pubblicata con le altre nel quarto cd di Nevica sulla mia mano : il disco comunque esce mutilo nel ’76 e col titolo generico di Automobili, Roversi ritira il proprio nome e si firma con quello di un arcade settecentesco, «Norisso», chiudendo bruscamente il rapporto con Dalla. Ora, assemblando carteggi, interviste e dichiarazioni, Bagnoli documenta sia il frangente della rottura (già evidente in un libretto pubblicato Savelli nel ’77, Il futuro dell’automobile, dell’anidride solforosa e di altre cose, con gli interventi dei diretti interessati e pagine, davvero splendide, di Giovanna Marini e Gianni Scalia) sia il prosieguo delle rispettive traiettorie: Roversi torna al proverbiale riserbo e attende a quello che sarà il poema del passaggio d’epoca (L’Italia sepolta sotto la neve), Dalla si avvia a una definizione della propria ricerca firmando integralmente tre album (Com’è profondo il mare,’77, Lucio Dalla, ’79, Dalla, ’80), forse i suoi più belli e tutti di impronta roversiana. Rimarranno a distanza per anni, Roversi e Dalla, fino al riavvicinamento di cui dicono le cinque canzoni musicate per la rappresentazione bolognese di Enzo Re (’98) e, precedentemente, il cameo intitolato Chiedi chi erano i Beatles che lo stesso Dalla suggerisce di mettere in musica a Gaetano Curreri degli Stadio. Moriranno nel 2012 a pochi mesi l’uno dall’altro ma dopo essersi, e non formalmente, riconciliati. Il 28 gennaio del 2003, ottantesimo compleanno di Roversi, Dalla gli aveva scritto queste parole: «Da Roversi ho imparato tutto quello che conoscete o quel poco che sono riuscito a far diventare canzone, testi, progetti, sogni scritti e cantati o semplicemente sognati davanti a un microfono o alla luna. (…) Ora Roberto, voglio dirti anche che sono ormai trent’anni che studio e volonterosamente provo a perfezionare la più grande delle tue lezioni ma mi sembra di avere cominciato solo ieri: la Dignità». E cioè: non la tecnica per comporre una canzone d’autore e nemmeno per scrivere una poesia ma qualcosa che entrambe le precede, qualcosa di decisamente più essenziale.