Fuori concorso, due corti hanno emozionato i presenti: Con il fiato sospeso di Costanza Quatriglio, Redemption di Miguel Gomes. Rispettivamente di 35 e 26 minuti, erano riuniti in un unico spettacolo, ma è difficile pensare che chi ha amato l’uno possa aver anche solo apprezzato l’altro e viceversa.

Con il fiato sospeso è un caso esemplare di come un film non dovrebbe essere. Una storia strappalacrime illustra un tema che un reportage avrebbe trattato con efficacia: le conseguenze del lavoro nei laboratori dell’Università italiana sulla salute dei ricercatori. Alba Rohrwacher presta il proprio volto ad un personaggio fittizio, infarcito di luoghi comuni, del genere che ci si aspetta dai reality. Il primo a non credere nella propria finzione è il film che si chiude con un’intervista al padre di un ricercatore morto di cancro e con le foto di quest’ultimo intubato – l’equivalente di un messaggio su un pacchetto di sigarette: la chimica uccide. Le buone intenzioni anche.

Agli antipodi, c’è Redemption. La distanza tra i due film è tale che, se la ragione dell’accostamento non fosse nota (l’Istituto Luce si appresta a distribuirli insieme), si potrebbe pensare a un motto di spirito dei programmatori. Ieri, parlando di Apichatpong, ricordavamo come questi prenda a modello del regista il medico. Miguel Gomes, che chiama tutti i suoi film «commedie musicali», si pensa come il leader di una banda: il suo lavoro consiste tanto nel dirigere che nell’ascoltare. Fin dai primi istanti, le voci armoniose di Redemption ripuliscono l’udito dalla dizione masticata degli attori di Con il fiato sospeso. L’impressione è di passare da una melodia stonata ad un accordo di immagini e suoni i quali, come prescrive Bresson, hanno l’aria di trovarsi bene assieme.

Anche in questo caso, si tratta del racconto autobiografico di personaggi di fantasia. Le date sono precise: 21 gennaio 1975, in un villaggio nel nord del Portogallo, un ragazzino scrive alla famiglia, rimasta in Angola, della tristezza dei Portoghesi, del freddo che gela le strade. 13 giugno 2011, a Milano, un vecchio ricorda un amore impedito dalla lotta di classe. Parigi, 6 maggio 2012, un uomo annuncia alla propria neonata che ne rifiuta la paternità. Lipsia, 3 settembre 1977, una sposa cerca di togliersi dalla testa l’ouverture del Parsifal. I testi sono interpretati, fuoricampo, ognuno nella propria lingua, da Jaime Pereira, da Donatello Brida, Jean-Pierre Rehm, Maren Ade.

Le immagini provengono dagli archivi dei quattro angoli d’Europa da cui i narratori ci parlano. Alcune sono intime, altre amatoriali. Altre ancora pubbliche. La nascita di un asino, piazzale Loreto, un’inquadratura di Miracolo a Milano. Il film dipana con lirismo crescente, sottesa ironia, un filo privato. Fin dall’inizio, si sospetta che Gomes stia tessendo una tela più ampia. Ma così sottile che stringendosi coglie lo spettatore di sorpresa. Alla fine, si scoprirà che si trattava di quattro vite inventate di altrettanti personaggi ben noti del potere europeo… Il resto, in sala.