Un fracasso e nove tubi perforano il telo dipinto che chiude il boccascena. Ne sbottano altrettante voci a formare l’inconfondibile partitura corale di Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa, anche in questo debutto del loro AmletOne! (con pronuncia italiana o inglese a piacere dello spettatore). Siamo nel Marcidofilm!, il teatro torinese inaugurato il 23 novembre, in occasione del trentesimo anno di attività del gruppo guidato da Marco Isidori, Daniela Dal Cin e Maria Luisa Abate. Finalmente una casa, colorata di rosso e nero, in un trionfo di luci rimbalzanti sulle pareti specchiate del foyer, pensata e costruita con abnegazione e una cura non comune nei rapporti con cose e persone.

Vi si accede da uno di quei cortiloni popolari, con panni stesi e profumi di cucina che, se nella Torino operaia degli anni 60 e 70 riportavano verso il Meridione d’Italia, oggi fanno fare il giro di tutto il Sud del mondo a chiunque decida di entrarci. Marcidofilm! sorge infatti a poche centinaia di metri dal grande mercato di Porta Palazzo, vera frontiera verso l’altra Torino, quella che i torinesi evitano senza neanche conoscere. Un applauso in più ai Marcido per l’ubicazione del loro Marcidofilm! in una zona «difficile» della città, seppure a dieci minuti a piedi da piazza Castello – così chiamato perché hanno rotto il salvadanaio custodito per un progetto cinematografico, che chissà quando vedremo realizzato.

Un gioiellino di settanta posti tra poltrone e strapuntini e un palco di pochi metri quadri, dentro al quale forse non tutti gli spettacoli con i grandiosi organismi scenografici di Dal Cin sarà possibile allestire. Nella stagione del trentennale però alcuni saranno ripresi e, a maggio, si vedrà addirittura una Memoria dello Studio per le Serve, prima produzione, datata 1985-86. Intanto, ora, con AmletOne! lo spazio è agito dagli attori come ne fossero parte, ogni scala o praticabile sembra fungere da protesi ai loro limiti fisici, mentre con un inarrestabile flusso vocale creano un corpo unico, dal quale si staglia la progenie più matura dei Marcido, Paolo Orrico, eponimo e allampanato protagonista di nero vestito.

Isidori, che ha riscritto il dramma shakespeariano come un vortice ironico e irriverente, forma con Abate la coppia fedifraga, definitivamente sfasciata nel noto finale. Appesi a carrucole, Amleto e Laerte fluttuano sulla scena battendosi a colpi di parole, l’antinaturalismo dei Marcido non concede nulla alla verosimiglianza, tantomeno coppe e spade avvelenate.