Tra giugno 2012 e maggio 2013 il Mib, il principale indice della Borsa italiana, guadagna oltre il 35%. Davvero niente male per un Paese che sta entrando nel settimo trimestre consecutivo di calo del Pil. Consumi e produzione industriale crollano, la fiducia è ai minimi, viviamo una stagione di instabilità politica e sfiducia sociale. Ma la finanza vola. 35% in un anno, un dato che dovrebbe corrispondere a un vero e proprio boom economico e a una sfavillante fiducia nel futuro.

A guardarli con realismo, i partiti sono imprese politiche volte a conquistare il potere. Storicamente sono nati perimetrando tocchi di società, denominandoli, rendendone palesi i bisogni latenti, attrezzandoli con un’identità, promettendo possibilità di miglioramento individuali e collettive: insomma rappresentandoli. Inventando la questione settentrionale e la Padania, la Lega Nord ne ha offerto or non è molto un esempio da manuale, benché perverso.

Quali che siano le ragioni per cui sono sorti, i partiti hanno a lungo operato quali preziosi corpi intermedi tra Stato e società. L’avranno fatto per ragioni strumentali. Per guadagnarsi il consenso degli elettori. Ma l’hanno fatto. Del resto non sono escluse ragioni più nobili. Si può aspirare al potere per rendere il mondo migliore di quel che è. Il problema è che, come tutte le istituzioni umane, i partiti sono imperfetti e che col tempo la loro imperfezione si è aggravata.

Spicca la tendenza all’involuzione burocratica e oligarchica. L’ha appena ricordato Marco Revelli, citando Robert Michels, che, a inizio 900, enunciò una terribile «legge di ferro dell’oligarchia». Arma decisiva per difendere le classi popolari, i partiti, tuttavia, erano i primi a far scempio della democrazia che promettevano. L’indignazione di Michels era smisurata per un allievo di Weber, che avrebbe dovuto essere ben consapevole dei processi di burocratizzazione intrinseci alla modernità, ed era coerente al contrario con la sua vicenda personale di militante socialdemocratico, frustrato nelle sue ambizioni politiche. In ogni caso Michels diverrà il capostipite di una tuttora rigogliosa schiatta di critici – interni e esterni, ma mai disinteressati – dei partiti. A tali critici, rottamatori compresi, conviene di passata ricordare che l’ultrademocratico Michels si riconvertirà qualche anno dopo in ammiratore incondizionato di Mussolini.

Le cose si sono parecchio complicate dal tempo di Michels, ossia dacché i partiti sono giunti al governo, trovandosi per le mani un mucchio di risorse da distribuire. Distribuire risorse, individuali o collettive, è un modo di persuadere gli elettori ben più economico che non svolgere azione di rappresentanza. Ma lo scambio non è secondario. Perché le oligarchie si sono sclerotizzate viepiù e sono divenute viepiù immorali. Non senza alimentare le denunce di chi auspica una democrazia senza partiti.

I partiti conoscono da sempre il tarlo che li rode. Talora provano a tenerlo a bada introducendo procedure rigorose di ricambio del loro personale politico. Altre volte ricorrono a operazioni mimetiche – come le primarie – o a blindature che minimizzino gli effetti di disaffezione suscitati dalle critiche: le leggi elettorali maggioritarie o il finanziamento pubblico. Il quale è tanto una necessità quanto una tecnica d’autodifesa, che ha l’inconveniente d’instaurare discutibili rapporti di complicità tra partiti contrapposti, suggellati ulteriormente dalla svolta maggioritaria da ultimo impressa ai regimi democratici. Con l’effetto di rendere l’opposizione alla democrazia dei partiti, ovviamente in nome di una democrazia più democratica, sempre più aggressiva e efficace.

La nomea di autoreferenzialità e immoralità dei partiti è così cresciuta al punto che c’è chi ritiene che da essi non c’è più nulla da cavare. La conclusione è legittima, ma forse troppo perentoria. Che i partiti possano divenire templi di democrazia è un’illusione. Ma se realisticamente si accetta l’idea che le democrazie sono macchine imperfette, e che imperfetti sono i pezzi che le compongono, niente esclude che si possano escogitare correttivi appropriati alla democrazia dei partiti, iniziando se possibile dalla consapevolezza che quelli finora sperimentati in Italia – le primarie, le riforme elettorali, le incoronazione del leader: tutti di marca plebiscitaria – erano inappropriati, ipocriti e addirittura controproducenti.

È al momento improbabile che eventuali correttivi siano introdotti dall’interno della politica. Il Porcellum è una legge elettorale nefasta. Ma si è già capito che le oligarchie di partito la riscriveranno solo a loro misura. Non meno improbabile è una riforma dei partiti promossa dall’interno, essendo divenuti insuperabili i vincoli intrinseci che ne imprigionano le oligarchie. Non resta che scommettere su un rinnovamento promosso dall’esterno.

Al mito della società civile abbiamo già dato. Non è più virtuosa dei partiti. Ma è indubbio che i partiti tengano parecchio conto di quanto capita all’esterno. Si consideri come rispettano i poteri forti delle banche, dei media, delle lobbies, della chiesa, ecc. Mentre tendono a infischiarsene di coloro che sono sprovvisti di risorse di potere. A organizzare e rappresentare costoro erano una volta i partiti stessi. Che oggi fanno altro. Lo stesso può dirsi, più o meno, dei sindacati. Che ormai sono anch’essi istituzioni oligarchiche e assistite dallo Stato, che in più patiscono il logoramento del fattore lavoro. Ebbene, cosa vieta d’immaginare grandi entità associative che si mettano alle calcagna dei partiti e ne sollecitino comportamenti diversi? Il Tea Party non è per niente una bella cosa, ma è, ciò malgrado, un modello interessante.

Cosa accadrebbe se in Italia un giorno o l’altro sorgesse una grande associazione d’elettori, che senza ambizioni elettorali aggregasse cittadini comuni, occupati, disoccupati, precari, lavoratori dipendenti e lavoratori autonomi, pensionati, studenti, sinistra radicale e sinistra moderata, cattolici e laici, attorno a temi come il lavoro e la moralità della politica mettendosi alle calcagna dei partiti? E se fosse tale associazione a aggiornare – cosa che i partiti sono incapaci di fare – significato e gerarchia delle parole? Solidarietà e democrazia in primo luogo. E se infine essa incalzasse i partiti nel loro punto più sensibile, che è il consenso elettorale?