Il governo ha piantato la sua prima bandierina, sulla cancellazione del finanziamento pubblico ai partiti. Letta ha celebrato l’evento come un passo decisivo verso il ripristino della fiducia dei cittadini nella politica. Ne dubito. Magari, meglio sarebbe stato varare una forte proposta anticorruzione. Il finanziamento pubblico vale decine di milioni di euro. La corruzione è una tassa occulta di decine di miliardi.

Irrobustire il gracile parto legislativo del governo Monti sull’anticorruzione sarebbe certo un gesto utile, eclatante e rassicurante a un tempo. Ma quanto vogliamo scommettere che dalle larghe intese un simile gesto non verrà mai? Intendiamoci, un problema sul finanziamento pubblico esiste. Ma non sul principio. Una buona legge, che desse una misura ragionevole di finanziamento, assicurando visibilità, trasparenza, controlli veri, e soprattutto punizioni efficaci per ladroni, malversatori e corrotti di ogni tipo e caratura, sarebbe utile e opportuna. Senza gettare il bambino con l’acqua sporca.
I connotati fondamentali della proposta governativa sono stati già bene illustrati su queste pagine. Molto si dibatte sul due per mille, ma sembra un vuoto agitarsi. Certo, è improbabile che nel clima di oggi i cittadini italiani corrano in massa a dare quattrini ai partiti. Ma il punto da guardare con attenzione è che la proposta vuole il finanziamento privato come cardine del sistema.

Il finanziamento privato, in qualunque forma, orienta la politica e definisce la rappresentanza. Il 2 per mille, donazioni e contributi di qualsiasi taglio e natura, saranno in prevalenza dati da chi se lo può permettere, ai partiti considerati più vicini. Cioè dai ceti abbienti per la tutela dei propri interessi. O pensiamo che finanziare i partiti sia una priorità per il cassintegrato, il disoccupato, il giovane che studia o cerca lavoro, l’operaio che teme la chiusura della fabbrica? Fatalmente, anche senza pensare a potentissime lobby, gli interessi forti avranno voce più degli interessi deboli. Incidendo nella competizione tra i partiti, e pesando anche all’interno di ciascun partito. Perché chi è vicino agli interessi forti avrà migliori possibilità di accedere a risorse per una organizzazione personale e magari una campagna elettorale aggressiva. Questo peserebbe, in specie, nel momento in cui fosse restituita agli elettori la scelta dei propri rappresentanti. Tutti lo vogliamo. Ma a quanto pare nessuno considera che inevitabilmente si reintroduce una competizione infrapartitica oltre che interpartitica. Cosa significa questo quando i partiti sono sistemi feudali divisi tra capi e capetti? Soprattutto se sono gli interessi esterni al partito a scegliere chi deve avere le gambe per correre più lontano?

Infine – dato che la politica comunque costa – tagliare le risorse pubbliche introduce uno stimolo a forme sotterranee ed oscure di sostegno economico. Il finanziamento privato può anche andar bene in paesi dove l’etica pubblica è forte, e la società civile attenta e reattiva. Ma nel nostro paese la prima è evanescente, e la seconda in molti casi supina e corriva.

Per qualcuno, si doveva rispondere a Grillo. Per me, si potevano scegliere altri terreni. Si capisce bene che Grillo neghi in radice risorse pubbliche ai partiti, visto che non vuole un partito, ma il suo blog e il web come i soli strumenti di aggregazione. Diversa è la via per chi pensa che per risanare il paese e il sistema politico sono necessari partiti veri, organizzati, seppure rinnovati dalle fondamenta. E intanto una proposta per uscire dalla crisi senza massacrare i più deboli, per il lavoro, per la scuola pubblica, per la giustizia, potrebbe consolidare la fiducia dei cittadini molto di più che la rincorsa del pensiero altrui.
Certo, in politica il denaro pesa molto, ovunque e sempre. Ma il finanziamento pubblico serve a temperare la tendenziale dominanza degli interessi forti. Per questo la sinistra l’ha – un tempo – voluto e sostenuto. Ma ormai la sinistra sembra aver acquistato in blocco la proposta politico-istituzionale dell’avversario. Come mi capita spesso di dire, una debolezza culturale prima che politica.

Anche per questo, continua ad aleggiare lo spettro di riforme istituzionali inutili, se non dannose. E lo spettro dei saggi, magari pochissimi, i più saggi di tutti. Per dirla con una citazione cara agli italiani, questa cosa dei saggi è una boiata pazzesca. Solo che Fantozzi faceva ridere, tantissimo. Letta, per niente.