Venticinquemila firme raccolte dalla petizione online «DiceNo33» dell’associazione dei consulenti del terziario avanzato (Acta). Poi l’appello congiunto tra le maggiori associazioni del lavoro autonomo non iscritto agli ordini professionali (Colap, Confassociazioni, Agenquadri, Alta partecipazione, Acta) e la consulta delle professioni Cgil (la petizione ha raccolto 1402 firme). Poi, a cascata, l’adesione dei partiti in parlamento: dopo Giuliano Cazzola (Scelta Civica) è arrivata quella del vice-ministro all’Economia Stefano Fassina (Il Manifesto 6 novembre), seguito dal presidente della commissione lavoro al Senato Cesare Damiano (Pd). Infine quella del Movimento 5 Stelle (Nunzia Catalfio). Ieri è arrivata la notizia che tra gli emendamenti alla legge di stabilità il ministro del Lavoro Enrico Giovannini ne ha inserito uno che congelerà per un anno l’aumento dal 27% al 28% dell’aliquota contributiva per le partite Iva iscritte alla gestione separata dell’Inps disposto dalla riforma Fornero (legge 92 del 2012) a partire dal 1 gennaio 2014. Un altro emendamento dello stesso tenore è stato proposto dalla senatrice Pd Rita Ghedini.

Le 182 mila partite Iva «esclusive», coloro che lavorano soltanto con questo numero attribuito dall’ufficio finanziario a ogni contribuente nel campo dell’arte, della consulenza, delle professioni, dei servizi o del lavoro autonomo non ordinistico, non potranno tuttavia tirare un sospiro di sollievo. Non solo perché bisogna attendere ottenere il risultato – e il percorso della legge di stabilità è ancora molto lungo – ma soprattutto perché gli «indipendenti» chiedono una riforma della riforma Fornero che minaccia di aumentare il peso contributivo dall’attuale 27% al 33% entro il 2018 in cambio di una pensione che, nei fatti, non vedranno mai come molti altri lavoratori «atipici».

Un aumento che rischia di precipitare sul lastrico non solo le partite Iva esclusive, ma tutti gli iscritti alla gestione separata (1,7 milioni tra autonomi e parasubordinati). Per loro il peso fiscale e contributivo è diventato insostenibile, al punto che il reddito è passato dai 18mila euro del 2011 ai 15.500 del 2012, con un calo del -17,7%. Anche se tra questi autonomi esistono professionisti con redditi alti, la media di tutti gli altri (molti dei quali trenta-quarantenni, alla prima esperienza da partita Iva) è molto simile a quella di una specie di proletariato: 672,14 euro mensili (8.065 euro annui) . Se nel 1996 (quando è stata creata la gestione separata) un compenso lordo di 1.000 euro al mese equivaleva a un reddito disponibile di circa 750 euro, oggi ne rimangono in tasca meno di 550. Non è la prima volta che l’aumento-capestro della riforma Fornero viene congelato. È già accaduto nel 2013. I promotori della mobilitazione chiedono ora ridiscutere organicamente il problema della contribuzione e soprattutto delle tutele sociali per tutto il lavoro autonomo, del tutto sprovvisto di sussidio per la malattia, la disoccupazione, reddito o salario minimo (non sono gli unici in realtà). Un impegno in questo senso è stato preso sia da Damiano che da Fassina.