La missione della Nato per fermare i migranti nel mar Egeo è ufficialmente cominciata. Da un paio di giorni cinque navi pattugliano le acque di confine greche e turche con l’obiettivo di intercettare i barconi carichi di uomini donne e bambini, in maggioranza siriani in fuga dalla guerra e disposti a tutto pur di arrivare in Europa. Un’operazione per la quale è previsto che prendano parte anche mezzi navali di Frontex, l’Agenzia europea per il controllo delle frontiere. «In meno di due giorni è stata presa una decisione politica e approntata una risposta militare: ora la missione è già operativa nell’area», ha detto ieri all’agenzia turca Anadolu il generale Philp Breedlove, comandante supremo delle forze dell’Alleanza.
La decisione di far intervenire la Nato è stata decisa nell’ultima riunione dei ministri della Difesa dell’Alleanza con lo scopo ufficiale di fermare i trafficanti di uomini, ma è facile prevedere come a pagare le conseguenze della missione saranno soprattutto i migranti. Restano da capire quali sono le regole d’ingaggio all’interno delle quali si svolgerà l’operazione. Le navi Nato non possono infatti respingere indietro i barconi carichi di rifugiati, pratica che violerebbe il diritto internazionale. E’ quindi probabile che si limiteranno a segnalarne la posizione alle autorità turche e greche, lasciando poi a queste il compito di scortare le imbarcazioni verso le rispettive coste. Compito della Nato sarà quindi soprattutto quello di raccogliere informazioni su quanto avviene lungo un tratto di mare attraversato l’anno scorso da più di 900 mila rifugiati «in modo – ha proseguito Breedlove – che la polizia e gli altri servizi di sicurezza della Turchia e della Grecia possano intervenire se necessario».
La missione Nato è l’ultima carta giocata dall’Unione europea nel tentativo di trovare una risposta alla crisi dei migranti, anche in vista del Consiglio europeo che si terrà giovedì e venerdì prossimi a Bruxelles. Vertice particolarmente importante visto che sul tavolo oltre all’immigrazione ci saranno anche le misure da prendere per evitare l’uscita della Gran Bretagna dall’Ue. Per quanto riguarda i migranti la Grecia resta un paese sotto sorveglianza. Mentre nella riunione tenuta ieri a Praga i Paesi del blocco Visegrad hanno confermato la linea dura nei confronti di Atene e ribadito al contrarietà a un sistema obbligatorio di quote, l’Ue ha deciso di stanziare 12,7 milioni di euro alla Grecia da utilizzare per la realizzazione di altri 8.000 nuovi posti in cui accogliere i migranti. Se pure si sommano ai 17 mila posti al massimo ai quali il governo Tsipras sta lavorando in collaborazione con l’Unhcr, siamo ancora molto lontani da quanto richiesto dall’Europa. Il che rischia di mettere ancor più in difficoltà la Grecia, a cui Bruxelles ha chiesto di rafforzare i controlli alle sua frontiera con la Turchia e già minacciata dalla possibile chiusura del confine macedone che di fatto la taglierebbe fuori dall’area Schengen.
Per evitare il peggio, ieri Atene ha annunciato di essere pronta ad aprire entro oggi quattro dei cinque hotspot che si e impegnata a realizzare da mesi. Le nuove strutture, gestite dal ministero della Difesa, si trovano sulle isole di Lesbo, Chio, Lero e Samo. Si tratterà di prefabbricati all’interno dei quali potranno trovare posto mille migranti per tre giorni, il tempo necessario per identificarli prendere, le impronte digitali e separare quanto hanno diritto a fare richiesta di asilo dai migranti economici, destinati ad essere rimpatriati. Resta in sospeso l’ultimo hotspot, previsto sull’isola di Kos ma bloccato a causa dell e proteste della popolazione.