Il prepartita della sfida per Palazzo Pubblico si è giocato sulla, pur residua, «senesità» del Monte dei Paschi. Non poteva essere diversamente. Il ballottaggio di domani fra Bruno Valentini ed Eugenio Neri farà capire chi fra i due candidati a nuovo sindaco di Siena è stato più convincente, nelle promesse, a difendere da scalate esterne quello che nonostante le pesanti traversie degli ultimi anni resta il terzo gruppo bancario del paese.

Sulla carta il favorito è Valentini, funzionario Mps appoggiato da Pd, Sel, Riformisti e Siena Cambia, che al primo turno ha preso il 39,5% dei voti. Il cardiochirurgo Eugenio Neri, candidato di una costellazione di liste civiche con l’appoggio – senza simbolo – del Pdl e anche di pezzi di ex Pd, si è fermato al 23,4%. Nelle due settimane di ulteriore campagna elettorale, Neri ha conquistato solo il dichiarato sostegno del civico-leghista Marco Falorni, che ha portato in dote il suo 4,6%. Restano ufficialmente alla finestra i 5 Stelle, reduci da un non lusinghiero 8% ma capaci di prendere il 20% alle politiche di febbraio. Nemmeno Laura Vigni, popolare candidata di Sinistra per Siena, Prc e Siena si muove, 10,5% al primo turno, andrà a votare: «Tra Valentini e Neri – dice seccamente – non esiste un meno peggio».
I numeri sono chiari. Eppure la partita non è chiusa in partenza. Perché un cavallo di battaglia dei pentastellati di Beppe Grillo era, e resta, la nazionalizzazione pura e semplice della banca. Anche Laura Vigni in campagna elettorale ha osservato che, di fronte all’altissimo tasso di interesse dei 4 miliardi di Monti Bond prestati dallo Stato a Rocca Salimbeni, (9% nel 2013, a salire negli anni successivi), non sarebbe una cattiva soluzione l’ingresso del Tesoro italiano fra gli azionisti del Monte, per poi far aprire al governo una trattativa con l’Europa. Sogni impossibili? Per certo sotto la Torre del Mangia sia Valentini che (soprattutto) Neri si sono lanciati in promesse impegnative.

La trincea che entrambi i candidati hanno pubblicamente difeso in questi ultimi giorni è quella del limite statutario del 4% per gli azionisti della banca diversi dalla Fondazione Mps, espressione degli enti locali e attualmente al 33,6%. All’ultima assemblea degli azionisti Mps il presidente della banca Alessandro Profumo è stato chiaro: sia la Ue che Bankitalia ci chiedono l’abolizione del vincolo del 4%. Ma a norma di statuto, che pure è in via di cambiamento, anche il Tesoro italiano gode degli stessi «privilegi» della Fondazione. Dunque una parziale, temporanea nazionalizzazione del Monte sarebbe tecnicamente possibile. Se ci fosse una comune volontà politica, di cui al momento non si vede comunque alcuna traccia.

Restano le promesse. Ecco quella di Eugenio Neri: «Il nostro impegno per la difesa del vincolo del 4%, e contro le modifiche falsamente urgenti allo statuto della Fondazione, sono battaglie fatte per il futuro di Siena. La rimozione del vincolo del 4%, affrettata dal cda di Mps, ha lo scopo di rendere scalabile la banca, in modo da attrarre soci di cui non conosciamo il profilo. C’è un piano per desenesizzare la banca, non deve compiersi». Dal canto suo Valentini ha assicurato: «Sono contrario ad ogni atto che l’attuale Fondazione Mps possa assumere prima che si insedi il nuovo consiglio comunale, compresa quella del limite del 4% per azionisti Mps diversi dalla Fondazione. Le decisioni sulla composizione societaria e sull’eventuale ingresso di nuovi azionisti devono essere riservate alla proprietà, che sono certo agirà nell’interesse superiore dell’autonomia e della piena operatività della banca». Staremo a vedere.