In assenza di soluzioni si moltiplicano le occasioni. Per due. Stamattina la conferenza dei capigruppo di senato e camera approverà, come richiesto ormai da molti partiti, il doppio scrutinio, forse già da oggi, più probabilmente da sabato. Un modo per accelerare ma anche per drammatizzare l’elezione del presidente della Repubblica. E avvicinarsi alla svolta che ancora non si vede. Drammatizzare si deve. La strage di quirinabili è vasta, quotidiana, ma ancora incruenta. Nessuno è stato sacrificato nell’urna, come avvenne nel 2013 quando in cinque votazioni si tentò e ogni volta bruciò un candidato prima di tornare a Napolitano. Invece stavolta i candidati muoiono ogni giorno nelle agenzie di stampa, al massimo cadono in Transatlantico senza che il loro nome entri in aula e sulle schede elettorali. A volte muoiono due volte, come Franco Frattini, il candidato filo russo recuperato e ri-fulminato per concludere la giornata cominciata con la filo americana Elisabetta Belloni, direttrice dei servizi segreti. Dietro c’era sempre Matteo Salvini, motore primo del caos.

Anche ieri è passato per la sconfitta quotidiana. A fatica ha portato il centrodestra all’astensione, unico mezzo per evitare una seconda figuraccia come quella di mercoledì, quando gli hanno sbattuto in faccia il successo di Crosetto, nome di bandiera di Giorgia Meloni. Peccato (per lui) che l’astensione ha dimostrato una cosa: il centrodestra conta 441 voti, lontanissimi dalla metà più uno che da ieri è necessaria per eleggere il presidente. Fine della storia del diritto di prelazione del centrodestra. Raddoppio dei mugugni tra i tre partiti della coalizione. Dove le doti politiche di Salvini sono ormai stimate più o meno quanto la famosa rosa dei tre nomi, lanciati ma mai votati.

Lo scrutinio di ieri ha dimostrato anche un’altra cosa: la forza di Sergio Mattarella come candidato da ultima spiaggia. Lo hanno votato in 166. Senza che nessuno lo avesse mai pubblicamente proposto. Anzi, in teoria la quasi totalità dei partecipanti al voto – Pd, M5S, Italia viva e Leu – aveva il mandato di votare scheda bianca. Ma già dal giorno precedente, quando Mattarella aveva raccolto 125 voti, era chiaro che la consegna non sarebbe stata rispettata. Soprattutto dai 5 Stelle, senatori e seguaci di Di Maio in primis. Lo stato maggiore di Conte è infatti corso ai ripari. Prima con una nota surreale nella quale si spiegava che la linea era scheda bianca «ma anche libertà di coscienza». Poi a cose fatte spiegando con dichiarazioni dei vicepresidenti e dello stesso Conte che per Mattarella c’è «grande apprezzamento e riconoscimento trasversale».

Trasversale, ma i consensi di ieri erano tutti di centrosinistra visto che il centrodestra non ha votato, facendo così mancare alla conta sul presidente uscente, che era organizzata e niente affatto casuale, una trentina di voti. L’obiettivo dei parlamentari di 5 Stelle, Pd e gruppo misto che stanno lavorando al Mattarella bis era infatti quello di raggiungere 200 voti. Ci riproveranno oggi. Ieri intanto la capogruppo del Pd Serracchiani è stata costretta a organizzare una vigilanza vecchio stile per controllare che i grandi elettori Pd non si fermassero nel seggio oltre il tempo necessario a piegare la scheda, lasciandola bianca. Il vicepresidente del gruppo De Luca (Piero) e il delegato d’aula Fiano scrutavano dall’alto, tanto che più di un deputato ha protestato con il segretario Letta per il controllo e qualcuno ha anche sfidato i colleghi di partito dichiarando apertamente la sua intenzione di votare Mattarella. Comunque molti si sono trattenuti il tempo utile per esprimere una preferenza nel seggio, non seguendo l’esempio di De Luca che invece lo ha attraversato a passo di corsa.

Nei corridoi del palazzo abbiamo ascoltato questa battuta: «Se in conclave si chiudessero i capi partito da soli e lasciassero l’aula libera di votare, Mattarella avrebbe la quasi unanimità». Ma il presidente che lo ha così tante volte escluso, sarebbe convincibile al bis? Certo non come candidato di una parte. Resta dunque l’ostacolo di Salvini e Meloni. Anche se il primo è – come dimostrano questi giorni – variabile e la seconda – già fuori dal perimetro della maggioranza – probabilmente trascurabile. Al Quirinale le domande rimbalzano: «Silenzio, nulla da dire, nessun commento, nessun contatto». Ma se la strada resterà chiusa per Draghi, se su Amato reggerà il no del centrodestra, è di nuovo a Mattarella che si dovrà tornare a bussare. Per scoprire solo allora se la risposta sarà la stessa anche di fronte allo stallo e con almeno un candidato sacrificato nell’urna.