«Rottura di fiducia a tutto campo». Raramente Enrico Letta è stato così definitivo come ieri, si riferiva ai rapporti del Pd con Italia viva. Appena qualche giorno fa, vittorioso nel collegio di Siena e nella sfida dei sindaci in tante città, il segretario del Pd aveva messo in campo l’Ulivo 2, con Calenda, Conte, Speranza e Renzi. Tutti insieme. E tra appena qualche settimana avrebbe dovuto tessere un accordo per eleggere il nuovo presidente della Repubblica, contando anche sui 43 voti di Italia viva. La politica, insomma, consiglierebbe prudenza al del resto prudente Letta. Ma la rottura sul disegno di legge Zan è troppo netta, irrimediabile.

La verità difficilmente verrà fuori, con il voto segreto funziona così. Ma il segretario dem è convinto del doppio gioco di Renzi e considera una firma sul delitto il fatto che i renziani, subito dopo il fattaccio del senato, siano corsi ad attaccare il Pd «vittima della sua arroganza». La stessa identica analisi – è successo anche ieri – della destra.

Anche questa volta, 2021, il presunto tradimento di Renzi – probabile, quasi certo, ma comunque non sufficiente a spiegare tutto il voto del senato – è arrivato dopo un colloquio e una rassicurazione, come nel 2014. Lo ha raccontato Renzi ieri: lui nel giorno decisivo non c’era, era in Arabia Saudita, ma prima aveva sentito Letta e gli aveva detto di andare avanti nel tentativo di dialogo con il centrodestra. Dialogo impossibile, visto che quelli hanno confermato la «tagliola» e il voto segreto. Ed è così che il segretario dem si è andato a schiantare.

È un film già visto con gli stessi protagonisti. Renzi che affossa il disegno di legge Zan cominciando mesi fa a dire che non è lui, ma la destra che non lo vuole è lo stesso Renzi che corre per la segreteria Pd dicendo che se vince lui Letta può stare sereno. E vince infatti, ma tende subito la mano a Berlusconi, allora come ora. Il finale di quella storia lo ricordiamo (la foto la trovate in prima pagina) e somiglia tanto al finale di oggi. Anni dopo il pisano riconosce solo un merito al fiorentino che lo ha sgambettato: la «brutalità».

Brutalmente, Renzi lo ha rifatto. Ma stavolta Letta è convinto che – lo ha spiegato ieri nei colloqui con i dirigenti del partito – portare alla luce il doppio gioco dell’arcinemico, illuminarlo a giorno mentre pugnala la legge sui diritti civili, indicare come cloni di Orban lui e Forza Italia che – ormai è chiaro a tutti – è il suo orizzonte, farà il gioco del Pd. Può essere, ma intanto c’è la legge Zan uccisa per sempre. E c’è un presidente della Repubblica da eleggere.

Rompere con Renzi così definitivamente – «rottura di fiducia a tutto campo» – alla vigilia del voto per il Quirinale non appare la mossa politica più astuta. Rompere non per portare a casa una vittoria, ma avendo tenacemente inseguito una sconfitta, è certamente peggio. Rompere mentre il fronte avversario di centrodestra sembra compattarsi ogni giorno di è più è due volte peggio. Eppure è così che parte per il Pd la corsa per il Quirinale. Con i 450 voti del centrodestra e i 43 di Italia viva pericolosamente vicini.

Voti che non bastano ancora, dal quarto scrutinio ne serviranno 505. Però ci siamo tanto vicini. Se è vero che Renzi ha avuto da Salvini la promessa di votare Casini terminato il primo giro di bandiera su Berlusconi, allora il piano comincia a prendere una forma. Vero è che si tratta di un piano assai prematuro: le candidature che prendono forma oggi sono quelle che più rischiano di saltare. Le chance di Draghi sono ancora quasi intatte. Letta non lo ha mai considerato la scelta migliore per il Colle, preferendolo a palazzo Chigi ora e magari ancora nel 2023. Ma le cose sono cambiate e di fronte al rischio infernale che il voto incontrollabile dei grandi elettori metta il Pd fuori gioco, la prospettiva di farsi king maker di un Draghi novello Ciampi, presidente al primo scrutinio, sembra un paradiso. Ma il messaggio del voto segreto sul disegno di legge Zan è arrivato anche a Draghi, assieme ai tanti avvertimenti di chi lo mette in guardia dai franchi tiratori. La prospettiva comincia a farsi rischiosa persino per supermario.

«Ieri chiaramente ci sono state le prove generali dei giochi politici in vista dell’elezione del capo dello Stato», ha detto Enrico Letta. Era ospite della webradio del Pd, Radio Immagina, dove lo hanno accolto decine di messaggi anti Renzi. Ma qui bisogna tornare al voto segreto, e al conto che non torna. Perché i 12 senatori presenti di Italia viva non bastano da soli a giustificare l’affossamento del disegno di legge Zan. I franchi tiratori sono stati di più, sono stati verosimilmente anche nel Pd dove la corrente degli ex renziani è prevalente nei gruppi parlamentari e non ha fatto sconti alla sconfitta del segretario. A Renzi e al centrodestra, in fondo, mancano pochi voti.