La Costituzione concede tre mesi di tempo per chiedere il referendum sulla legge di revisione costituzionale, come quella che è stata approvata dal parlamento il 12 aprile e pubblicata con formula sospensiva – perché può ancora, appunto, essere cancellata dal referendum – il 15 sulla Gazzetta ufficiale. Non sarà necessario aspettare tanto. Già oggi i deputati di opposizione contano di raggiungere le 126 firme necessarie (a Montecitorio stanno firmando leghisti, forzisti, deputati dei 5 stelle e di Sinistra italiana) per avanzare la richiesta da parte delle minoranze; certamente arriverà anche quella del fronte del Sì sponsorizzata dal governo. Vedremo per questo parlamentari che hanno blindato la riforma, e respinto in quattro successivi passaggi ogni proposta di modifica delle minoranze, chiedere di sottoporla al giudizio del popolo. E già ieri mattina il comitato del No ha presentato la richiesta di raccogliere le firme anche tra i cittadini.

È questa una richiesta che impiegherà più tempo (altri tre mesi, a partire da oggi), tecnicamente non necessaria dal momento che si ha la certezza che il referendum (un solo quesito) sarà chiesto dai parlamentari. Ma politicamente indispensabile per smentire la retorica di palazzo Chigi, in base alla quale è Renzi a volere il referendum. «È un’iniziativa che si è resa necessaria per sottolineare che le decisioni in materia costituzionale riguardano tutti i cittadini e che la volontà popolare deve entrare in campo immediatamente», ha detto il vice presidente del comitato Alfiero Grandi. Il referendum, previsto dalla procedura di revisione costituzionale nel caso la legge di riforma non trovi il consenso dei due terzi in parlamento, è infatti una chance concessa a chi si oppone alla riforma, mentre a chi l’ha voluta basterebbe non fare nulla. Eppure in uno dei due soli precedenti che si possono richiamare, quello del 2001 (riforma del Titolo V), furono anche allora i parlamentari della maggioranza di centrosinistra, assieme a quelli dell’opposizione di centrodestra, a chiedere il referendum. Il centrodestra provò anche a raccogliere le firme dei cittadini, ma non ci riuscì. Nel 2006 (la «devolution») furono invece solo i comitati del No (con l’ex presidente Scalfaro alla guida) a chiedere il referendum in tutti i modi previsti: firme dei parlamentari, firme dei cittadini e persino richiesta delle regioni. Nel 2001 la partecipazione al referendum fu bassa (34,1%) ma non essendo previsto il quorum ai sì bastarono per vincere 10,4 milioni di elettori (tre milioni meno dei sì di domenica scorsa sulle trivelle). Si votò in ottobre (come quest’anno). Nel 2006 invece si andò oltre il 52% di affluenza e vinsero i No con il 61,3% (e 15,7 milioni di voti, quanti tutti i Sì e i No di domenica). Si votò in giugno.
Ieri in Cassazione per il comitato del No hanno firmato l’avvio della campagna referendaria il presidente del Comitato del No Alessandro Pace e altri giuristi come Massimo Villone, Luigi Ferrajoli, Gianni Ferrara e Paolo Maddalena.