C’è tutto il fascino e l’imperscrutabilità della Cina, nell’appuntamento che prenderà il via oggi nella grande Sala del Popolo a Pechino. Il Terzo Plenum del Diciottesimo Comitato Centrale del Partito Comunista segnerà l’attuale fase economica del gigante asiatico, indicando la via al prossimo decennio. Preceduto da annunci di «riforme epocali» (di natura economica e non politica, è bene precisarlo fin dal principio) e più di tutto da due esplosioni nel giro di una settimana, una a Pechino sulla Tiananmen, un’altra a Taiyuan, nella regione centrale dello Shanxi (già arrestato il presunto responsabile, una donna di 41 anni), il Terzo Plenum è storicamente l’appuntamento più rilevante nel ciclo di vita politica della leadership cinese. Dopo un anno di dominio, di aggiustamenti, di lotte interne e studio, i padroni del paese predispongono le indicazioni guida per le riforme economiche, quei dettami che se applicati dovrebbero cambiare il volto alla nazione. Ad aggiungere mistero ci pensa al solito la retorica sloganistica cinese: il Plenum infatti si prepara al «Progetto 3-8-3». Tradotto significa, tre concetti, otto aree di riforme, tre riforme correlate, ovvero: più mercato, cambiare il ruolo del governo e delle aziende statali (i tre concetti), riforma del governo, dei monopoli, della terra, della finanza, delle tasse, del controllo statale, dell’innovazione e dell’apertura economica (le otto aree di riforme), aumentare la competizione, migliorare la sicurezza sociale, andare a fondo nella riforma della terra (le tre riforme correlate). A radunarsi a porte chiuse nella Grande Sala del Popolo, saranno i 376 che compongono il Comitato Centrale (tra membri permanenti e non). Poche le certezze circa le misure che saranno prese, anche perché a rendere ancora più incerto il clima generale sono alcuni elementi che contrassegnano questo meeting.

La leadership
In primo luogo il leader Xi Jinping: secondo la stampa internazionale si gioca quasi tutta la sua credibilità in questo incontro, mentre si cerca di capire che tipo di impronta stia dando il numero uno al «suo» Partito.
Eravamo stati abituati ad una gestione collegiale, sotto il duo Hu Jintao e Wen Jiabao, con il grande vecchio Jiang Zemin nell’ombra, si fa per dire, a tessere la sua ragnatela di potere. Secondo Jamil Anderlini del Financial Times, che spinge da tempo per riforme liberali, se Hu Jintao e Jiang Zemin avranno un ruolo secondario in questo Plenum, significherà che Xi Jinping ha deciso di riportare un leader carismatico alla guida solitaria del Partito. Indicazioni del resto giunte già da tempo, se è vero che la campagna anti corruzione sta lambendo alcuni big del Partito (tra i quali proprio Jiang Zemin) e vista la nuova retorica simil maoista applicata da Xi («la linea di massa», le «autocritiche») che sembra motivata da un percorso e progetto totalmente personale del Presidente. Si dirà che il numero uno cinese sta cercando di irretire la sponda sinistra del Partito, per tirare dritto sulle riforme liberali, ma di sicuro il ritorno ad una retorica maoista, ha acceso gli animi di quella parte di popolazione che date queste premesse, ora si augura vere riforme verso una redistribuzione del reddito. E proprio la campagna anti corruzione di Xi Jinping sembra quella che riscuote maggior successo tra la popolazione, che secondo sondaggi pubblicati sui media locali, ha posto al primo piano delle richieste, proprio la lotta contro il malaffare e i corrotti.

Quali riforme: l’economia
C’è una seconda questione ad ostacolare il corso cinese: qualunque decisione verrà presa dal potere centrale, dovrà poi essere applicata nelle regioni cinesi, dal potere locale. Si tratta di un processo consueto in Cina, dall’alto verso il basso, non esente da problematiche: proprio la difficoltà di applicazione di molte delle decisioni prese dal centro, ha finito per logorare l’economia cinese, alimentare la corruzione e consentire alle bolle speculative, su tutte quella immobiliare, di crescere. Si tratta di una situazione economica e finanziaria che non può perdurare a lungo; per questo una prima ondata di riforme dovrebbe investire proprio il sistema economico, cercando di trasformare la quantità in qualità e puntando su innovazione e strumenti fiscali in grado di agevolare questo passaggio. La linea guida è molto chiara: meno stato e più privati, meno presenza politica e più mercato. Facile a dirsi, ben più difficile a farsi: la logica dietro il ragionamento è quella di spostare il peso economico cinese dalle esportazioni, ad un’economia trainata dal mercato interno. Si tratta quindi di trasformare il proprio processo economico in modo molto deciso: più soldi ai cittadini, meno potere economico ai colossi statali. Tradotto in soldoni significa riforma del credito e presumibilmente dei tassi di interesse dei risparmi dei cinesi, che crescono poco in modo da rimanere lì ed essere usati dalle grande aziende che ottengono facili prestiti dalle banche. Si tratta di un meccanismo che la Cina prova a convertire, attraverso una maggior facilità di credito ai privati, con il tentativo anche di ostacolare quel fenomeno delle banche ombra che ha messo in ginocchio alcuni dei polmoni produttivi del paese. Non sarà facile, perché parallelamente questi soldi dovranno essere traghettati sul mercato interno, in modo da creare ancora più ricchezza, anziché finire in spese per diritti sociali o investimenti speculativi che non creano valore. E in questo senso il problema si allarga, perché per creare queste due situazioni, la Cina deve essere in grado di bloccare la bolla delle bolle, quella immobiliare, attraverso la riforma della terra, ed elargire ricchezza sociale attraverso una riforma del welfare.

La terra
In un paese che ha proceduto ad una delle urbanizzazioni più clamorose della storia, (dal censimento del 2011 la Cina ha più popolazione urbana che rurale), la questione della terra è annosa e da sempre al centro di problematiche (compresi scontri e incidenti di massa). Al momento in Cina c’è una distinzione tra quanto viene considerato terreno rurale e quanto è invece terreno urbano. Il terreno rurale non è di chi lo utilizza o ci vive, bensì dello Stato che lo amministra attraverso i funzionari locali. Quest’ultimi, per rimpinguare le casse delle amministrazioni locali e le proprie tasche, procedono quindi molto spesso alla vendita a colossi di costruzione, espropriando i contadini (anche in modo violento), cui non rimane in tasca neanche uno yuan. Ci sarebbe un ostacolo a questo processo, ma viene superato in modo semplice dai funzionari: in Cina esiste un numero stabilito di terreno adibito all’agricoltura che non può variare. Vendere la terra per costruire abitazioni, quindi, in molti casi non sarebbe possibile, ma i politici locali hanno ormai trovato il modo per superare la questione, distruggendo piccoli villaggi, che vengono ammassati in grandi grattacieli, riguadagnando intorno il terreno altrimenti sottratto all’agricoltura. Il Plenum dovrebbe ovviare a queste pratiche, consentendo la vendita legale dei terreni e permettendo ai contadini di usufruire di una parte di tale transazione.

Il welfare
Per consentire alla popolazione urbana, specie a quella neo urbana, di consumare di più è necessario tagliare le spese che i cittadini, specie i «migranti», spendono per sanità, educazione, cercando di mettere mano al sistema del welfare. Pensioni, sanità sono due degli ambiti all’interno dei quali si muovono spiragli di riforme. A questo proposito ritorna dirompente la questione legata all’hukou, il permesso di residenza che lega i diritti alla zona di provenienza. Questi sono gli argomenti più cari al popolo cinese, stando a sondaggi dei media locali, evidenziando una pragmaticità dei cittadini, che conferma anche un dato di non facile comprensione agli osservatori occidentali: i cinesi non sono interessati a cambiamenti del sistema politico; chiedono una maggiore linearità dei processi decisionali, domandando la severa punizione dei funzionari che non rispettano i dettami da Pechino.
Dal punto di vista sociale, infine, sembrano ormai nel mirino la legge del figlio unico e quella che governa l’istituzione dei campi di lavoro. Non ci sono certezze circa la possibilità che costituiscano due argomenti centrali del Plenum, ma di sicuro la politica del figlio unico, a fronte di una popolazione che invecchia e della necessità di manodopera, potrebbe essere modificata.