Ogni fiore è un villaggio, 50 fiori, 50 villaggi, poco ma abbastanza sulla cartina geografica tracciata ai piedi di quelle strane creature floreali dall’aspetto digitale, segni di un futuro – e di un passato – che hanno ancora il tempo del presente. Secrets of a Digital Garden: 50 Villages – 50 Flowers è l’installazione di Yara Sharif e Nasser Golzariu, lei palestinese, lui iraniano, entrambi residenti a Londra realizzata insieme all’Ong Riwaq – con sede a Ramallah, che in quel paesaggio surreale cerca di restituire una narrazione «viva» ai 420 villaggi palestinesi rasi al suolo nella Nahkba del 1948.

L’INSTALLAZIONE è una delle opere presentate nella mostra del Forum Expanded (fino al 15 marzo al silent green Kulturquartier) col titolo: Part of the Problem – dove il problema in questione è la ricerca di una rappresentazione del presente oltre e dentro la cronaca, di una cifra politica dell’arte, della necessità del suo impegno. Si va dalle immagini di Chris Marker On vous parle de Paris: Maspero, les mots ont un sens (1970), presentato al Forum nel 1971, riflessione sul ruolo dell’intelletuale nel dibattito politico, a Memory also Die in cui utilizzando anche archivi e found footage Didi Cheeka sfida il tabù del suo Paese, la Nigeria, a cominciare da quel rimosso obbligato che è la storia del Biafra, la sua dichiarazione di indipendenza nel 1967 (fino al 1970) , la feroce repressione del governo nigeriano. «La memoria è una dimensione personale e collettiva» dice – come la rimozione appunto. In dialogo col programma del Forum anche il suo lato «Expanded» interroga la storia della sezione in occasione dei 50 anni provando a trovare le tracce della sua ricerca, degli immaginari che lo hanno caratterizzato, tra gli artisti contemporanei. Come parlare del nostro tempo e in che forma – ciò che permette di superare i margini della cronaca – sembra interrogare la ricerca più sensibile in ogni parte del mondo, qui il punto di partenza è la storia del colonialismo – e il postcoloniale nelle sue differenti declinazioni: imperi e occupazione, omologazione culturale, violenza, discriminazione, quanto la Storia dei rapporti di forza – e della loro narrazione – tra zone del mondo determina la visione dello stesso?

AL CODICE CREOLO si ispira il nuovo lavoro di Felipa César, Quantum Creole, che utiliza la minima particella della fisica come misura per indagare le diverse forme della resistenza creola contro il colonialismo: un codice sovversivo fatto di dettagli oggi racchiuso nei disegni delle stoffe, resi strumenti con cui opporsi alla tecnologia del colonizzatore. È lì, infatti, nel lavoro del tessile a massimo sfruttamento che si manifesta il nuovo colonialismo, la libertà sfacciata dell’ultralibersimo nella cui pratica riappare la violenza degli schiavisti di secoli fa.

QUELLA STESSA violenza – indifferente -che attraversa le immagini di Shipwreck at the Threeshold of Europe, Lesvos Aegean Sesa: 28 ottobre 2015, girate dall’artista Amal Alzakout, sopravvissuto al naufragio del 28 ottobre 2015, vicino all’isola di Lesbo, in cui morirono 43 migranti. Unite a altro materiale, video delle guardie costiere, riprese dai satelliti, quelle degli attivisti, il lavoro ricostruisce quella traversata provando a illuminare a distanza ravvicinata cioè che è accaduto. Ma soprattutto il senso e la complessità dell’immigrazione che la strumentalizzazione politica non sembra mai considerare.