Bisognerà attendere qualche settimana per capire se l’appello di papa Francesco, durante l’Angelus di domenica scorsa a San Pietro, alle parrocchie e agli istituti religiosi affinché accolgano i migranti («Ogni parrocchia, ogni comunità religiosa, ogni monastero, ogni santuario d’Europa ospiti una famiglia di profughi, incominciando dalla mia diocesi di Roma») avrà effetti concreti o coinvolgerà solo una minoranza delle comunità cattoliche, quelle che già da anni lavorano con i migranti.

Dipenderà innanzitutto dai vescovi, che Bergoglio ha richiamato in prima persona («Mi rivolgo ai miei fratelli vescovi d’Europa, perché nelle loro diocesi sostengano questo mio appello»), e dalla loro volontà di stimolare i parroci. La maggior parte tace, almeno per ora, ma qualcuno ha già risposto: il vescovo di Avezzano (Aq), Santoro – quest’estate attaccato dai neofascisti di Forza Nuova che affissero di fronte alla cattedrale lo striscione «Per il vescovo prima i clandestini, per Forza Nuova prima gli italiani» -, ha annunciato che ospiterà a casa sua una famiglia di profughi; il vescovo di Cagliari, Miglio, ha cominciato ad organizzare l’accoglienza insieme alla Caritas sulla base della disponibilità ricevuta dalle parrocchie; e la Cei ha fatto sapere che se ne parlerà al prossimo Consiglio episcopale, il 30 settembre, per «individuare modalità e indicazioni da offrire a ogni diocesi». In Europa, i vescovi francesi hanno diffuso una nota in cui si dice che «questo appello ci stimola e ci invita a continuare e ad incrementare le nostre azioni nei confronti dei rifugiati». Altri invece hanno già fatto sapere che non se ne parla proprio, come il cardinale Erdö, arcivescovo di Budapest e primate di Ungheria, il quale – in grande sintonia con il premier Orbán – ha spiegato che la Chiesa ungherese non può rispondere all’appello del papa perché dare ospitalità a migranti irregolari in transito è «illegale». «La Chiesa, parte di essa, può avere resistenze: sappiamo che scardinare il “comodismo” attuale, mettere in discussione la Chiesa benestante, che di questa condizione ha fatto un sistema di vita, è rischioso», dice al Mattino monsignor Nogaro, vescovo emerito di Caserta, da sempre in prima linea per i diritti degli immigrati.

Poi ci sono i parroci. Molti sono stati spiazzati dall’appello del papa. Altri, pur facendo presenti le difficoltà pratiche – l’allestimento degli spazi – e amministrative, si dicono pronti. «Questo appello è un incoraggiamento per noi e sarà efficace anche per superare le perplessità di qualche parrocchiano», spiega don Ben Ambarus, prete romeno da sempre in servizio a Roma, parroco dei Ss. Elisabetta e Zaccaria a Prima Porta, la prima parrocchia visitata da papa Francesco. «Inoltre – aggiunge – se tutti si attiveranno, questo sarà il miglior antidoto ai luoghi comuni e agli slogan razzisti, perché i migranti incontreranno delle persone, racconteranno le loro storie e tanti pregiudizi svaniranno». Don Nandino Capovilla, parroco a Marghera: «È un invito alla concretezza che va accolto, non è più sufficiente organizzare corsi di italiano e partite di calcio». Don Tommaso Scicchitano, parroco a Donnici, periferia di Cosenza, che ha subito rilanciato su Facebook l’appello («papa Francesco ha chiesto ad ogni parrocchia di accogliere una famiglia di profughi. Che facciamo? Gli diciamo di no?»): «Mi consulterò con il vescovo, sentirò la Prefettura, poi la prossima settimana convocherò un’assemblea in parrocchia per organizzarci». Don Andrea Bigalli, parroco a Sant’Andrea in Percussina (Fi): «Sono parole in linea con il Vangelo, non si può fare diversamente. Poi però bisognerà anche fermare la guerra, il traffico di armi e le mafie che gestiscono il traffico dei migranti».
Con 130mila parrocchie in Europa, 27mila in Italia, migliaia di istituti religiosi e conventi, più tutti gli immobili riconducibili direttamente al Vaticano (ben di più delle due parrocchie dentro le Mura leonine che si sono già attivate), se tutte le comunità rispondessero positivamente, il problema ospitalità sarebbe risolto. Molti di questi spazi, però, sono già stati riconvertiti in alberghi e bed & breakfast. Tanto che il prefetto di Roma Gabrielli, nello scorso maggio, a margine di una riunione per trovare qualche centinaio di posti per i migranti arrivati in città, raccontò che furono proprio diversi istituti religiosi a dire no «perché vedono nel Giubileo maggiori possibilità di business». Chissà se adesso il papa avrà più successo.