«Codificare», «canonizzare», «imitare» e, perché no? «riscrivere» sono verbi del tutto consueti e forse abusati se riferiti al sistema letterario italiano. Lo diventano ancora di più quando si legano, in prospettiva educativa, a dinamiche identitarie e a conglobati retorici che finiscono inevitabilmente per incidere nell’immaginario collettivo, cristallizzandolo in pose ideologiche e auto-narrazioni statiche. Al contrario il nuovo libro di Matteo Di Gesù (Una nazione di carta. Tradizione letteraria e identità italiana, Carocci), partendo da questi stessi noti assunti, dinamizza e smonta in modo proficuo il rapporto diadico tra letteratura e identità nazionale secondo interessanti diramazioni plurali che tengono conto dei vari paradigmi critici avvicendatisi nel corso degli ultimi anni: dagli studi culturali, a quelli postcoloniali, alla recente, valida geocritica.

Propositiva cartina di tornasole di tale itinerario in movimento è la consapevolezza di un progressivo deperimento degli studi letterari e umanistici nel mondo della scuola e, con capillare propagazione, anche in ambito accademico. Ma, scrive con perplessa fiducia l’autore, «proprio l’indebolimento delle prerogative pedagogiche-nazionali dello studio della letteratura italiana, e in generale degli studi umanistici, potrebbe offrire inoltre un’occasione propizia per ripensare i loro statuti epistemologici, per un’apertura ad approcci sovranazionali, a metodologie pluridisciplinari, ad un’idea meno ingessata e istituzionale di humanities». L’invito è quello di una lettura della nostra tradizione letteraria sensibile ai mutamenti, alle contaminazioni, ai meticciati.

Nel volume vengono così ripercorsi luoghi e figure, immagini e temi, generi e circolazioni della storia letteraria italiana, da Dante e Petrarca fino a Pasolini e Manganelli, passando per i trattatisti cinquecenteschi e i saggisti del Settecento, a torto trascurati (Baretti, Bettinelli, Calepio, Denina, solo per citarne alcuni), non senza documentare appurate precisazioni filologiche e puntuali rigori critici. Sono rintracciati sovrasensi, laddove non sensi primari, negli stessi testi catalogati come più «popolari» o considerati «minori»: il Pinocchio collodiano, il Guerrin meschino, I Reali di Francia.

Si scopre poi che sia il Dante del primo canto dell’Inferno, ma anche la pre-risorgimentale ode manzoniana Marzo 1821, oppure , ancora, la canzone di Leopardi La Ginestra (per marcare i luoghi più celebri) possono essere letti con angolature ibride, plurime e non settariamente localistiche o identitarie.

Infine l’epilogo polemico di Una nazione di carta abbozza una proposta combattiva e militante, rivolta non solo ad addetti ai lavori, ma soprattutto alla comunità di migliaia di giovani studiosi e studenti negli atenei, indicando loro mappe interpretative a «grado zero» e fornendo al contempo i pastelli critici per colorarle insieme. Disegnando ogni volta rotte alternative e resistenti alle incipienti omologazioni.