Quello che alcuni temevano e molti speravano dal giorno della scomparsa di Gianroberto Casaleggio è successo, forse anche prima di quanto ci si potesse attendere. L’M5S si dilania in una guerra in cui gli stracci volano di fronte a tutti, senza neppure cercare di salvare le forme. Da una parte Federico Pizzarotti, sindaco di Parma, il primo a essere stato eletto, un simbolo: sospeso nella maniera più brutale, non per essere indagato ma per averlo nascosto sin da febbraio. Dall’altra il Direttorio, al quale il sindaco, che non intende dimettersi, risponde con toni violentissimi prendendo di mira il primus inter pares: Luigi Di Maio.

Le cose sono precipitate nel giro di una notte. Giovedì sera arriva al sindaco una mail anonima dello «staff». Chiede «la cortese trasmissione dell’avviso e di tutti i documenti connessi alla vicenda». Cioè alle nomine del direttore e di un consulente del Teatro Regio, per le quali Pizzarotti, l’assessora alla Cultura e tre membri del cda del Regio sono indagati. Abuso d’ufficio. La faccenda in sé, almeno a quanto se ne sa, è risibile. L’avviso di garanzia, dopo l’esposto presentato in Procura da un senatore Pd, era davvero un atto dovuto. Nulla per cui chiedere dimissioni di chicchessia, se non ci fossero le improvvide e in realtà semplicemente stupide dichiarazioni rilasciate a suo tempo da Di Maio, quelle per cui chiunque venga sfiorato dall’avviso al cianuro dovrebbe alzare i tacchi, e soprattutto se non ci fosse una campagna politica e mediatica tesa a dimostrare che i pentastellati predicano bene e razzolano male come tutti.

Pizzarotti rifiuta di consegnare i documenti. Replica con una mail durissima, indirizzata al «Gentilissimo anonimo staff» nella quale spiega che «a una mail anonima non fornisco nessun documento». La chiusura è più che velenosa: «Per altri approfondimenti fatemi chiamare dal responsabile dei Comuni Luigi Di Maio».

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Meno di 12 ore dopo il primo cittadino parmense apprenderà dal blog di Grillo di essere stato «sospeso», una misura mai adottata sinora e che pare coniata apposta per il caso in questione, con l’imputazione di «totale mancanza di trasparenza». Anche qui, non manca il curaro: «Non si attendono le sentenze per dare un giudizio politico». Non solo: quando Pizzarotti rende pubblico lo scambio di mail con lo« staff», Grillo aggiorna il suo post e rincara. «Comportamenti radicalmente incompatibili con la tua permanenza all’interno del MoVimento5 Stelle e con l’uso del simbolo» e «boicottaggio dell’azione politica del MoVimento», tuona re Beppe.

Botta e risposta, in un vortice di sberle sempre più forti. Il sospeso convoca una conferenza stampa e azzanna Di Maio. «La reponsabilità è sua. Il Direttorio si è dimostrato irresponsabile. Veniamo attaccati per una scusa e potevano sceglierla migliore. Per mesi abbiamo chiesto un incontro a Fico. Tocca a loro chiedere scusa». Furioso, Pizzarotti non manca di segnalare la differenza tra il suo caso e quello del sindaco di Livorno Nogarin. Dall’interno del Movimento, spiegano così l’apparente incoerenza: «Nogarin ci ha messo al corrente, ci ha girato le carte, ci ha informato. Pizzarotti ha preso in giro tutti».

Se con la sospensione dell’indagato i direttori a 5 stelle pensavano di tirarsi fuori dall’imbarazzo provocato dagli avvisi di garanzia, hanno decisamente sbagliato il calcolo. La rissa, troppo sguaiata persino per la politica italiana, moltiplica il danno. La giustificazione dei due pesi diversi adottati a Parma e Livorno è troppo leguleia per soddisfare la stessa base. Ma il fatto è che nella mossa suicida della sospensione di Pizzarotti si sono probabilmente intrecciate diverse pulsioni. Il panico per la “perdita della verginità” provocata da inchieste che senza le assurde dichiarazioni di Di Maio si sarebbero incassate senza quasi pagare dazio. La necessità di trovare una via d’uscita tale da sacrificare qualcuno ma senza ritrovarsi poi costretti a cacciare un amministratore a ogni esposto dei nemici politici: perché questo comporterebbe il prendere sul serio le parole di Luigi Di Maio. Ma anche, e forse soprattutto, l’insofferenza nei confronti di un sindaco che non si è mai mostrato obbediente e che in più occasioni ha tenuto testa ai diktat di Casaleggio e del gruppo dirigente da lui selezionato.

E’ lo stesso sospeso a chiamare in causa le tensioni di lunga data col Direttorio, mostrando le chat con Di Maio e poi con Fico nelle quali effettivamente chiede a ripetizione, ma sempre inutilmente, incontri diretti per chiarire la situazione nel consiglio comunale di Parma, dove l’M5S è ormai diviso in due tronconi.

Ora Pizzarotti ha 10 giorni per difendersi e giustificarsi di fronte a quegli stessi vertici che ieri ha definito «irresponsabili». Se non lo farà, o se le sue spiegazioni non verranno considerate sufficienti, sarà espulso, come tanti altri prima di lui. E’ vero che, sin qui, le epurazioni non hanno mai scalfito la fiducia degli elettori. Ma è anche vero che Federico Pizzarotti non è un nome come gli altri, nel Movimento 5 Stelle.