Nei numerosi incontri che si fanno nella vita, alcuni li perdi e poi ritornano, e quando ritornano capisci perché. Questa storia comincia da Daniela Rossi, che non saprei nemmeno definire tante sono le cose che fa, e quindi la chiamerò animatrice culturale e femminista. Conobbi Daniela molti anni fa, quando si era inventata il festival Riso Rosa (nato nel 1989) e, al suo interno, il concorso «Pink Ink. Scritture comiche molto femminili» che scovava talenti di comicità femminile.
Oltre alle già note Lucia Poli e Lella Costa (parliamo di vent’anni fa eh), Pink Ink diede voce, e palcoscenico, a Katia Beni, Dodi Conti, Anna Meacci, Emanuela Grimalda, Pia Engleberth, Alessandra Berardi e Lorenza Franzoni, una performer eclettica che crea personaggi vestiti con oggetti da lei inventati, tipo «Utero in pizzo lingerie, reggiseno lattesantiera e reliquie», e poi scrive cose come «Non ho scelto di nascere femmina, quindi socialmente pericolosa, ma trovo che sia un ruolo interessante. Questo corpo di donna, che mi sostiene politicamente, è il mezzo per indossare qualunque identità storica, etnica, sessuale, religiosa per poi metterla a nudo». Altro che Drusilla. Passano gli anni, perdo di vista Daniela Rossi, Riso Rosa e Pink Ink cessano di esistere. Complice la presentazione di un libro, rivedo Daniela un anno fa, mi dice che la straordinaria stagione della comicità femminile è finita, ammazzata dal successo mainstream, e ad alto tasso testosteronico, di trasmissioni come Zelig, i cui responsabili scrivevano robe tipo «Sono donne, ma fanno ridere anche loro», e magari si sentivano pure gentili.
Ammazzate sul ridere, dunque, ma perché, e come è stato possibile? Daniela Rossi dice che è cambiato il panorama sociale, che le donne non sono più capaci di ridersi addosso e che questo lo si è visto proprio nella qualità dei testi. «Se appena lanciato il concorso, e siamo all’inizio degli anni Duemila, arrivarono 300 testi di poesia comica, da un certo momento in poi quella vena si è esaurita, come se si fosse avverata una mutazione interiore.

QUANDO SEI FORTE,  riesci a parlare di te anche in modo forte, e ironico. A un certo punto le donne hanno perso quella capacità». E quindi? Daniela Rossi ha capito che bisognava ripartire da una sorta di autocoscienza, ma gli anni Settanta sono finiti da un pezzo, e quella roba lì, il trovarsi insieme e raccontarsi, anche per ore, il proprio vissuto, non funzionerebbe più come allora. E quindi? Rossi ha capito che la strada era il Memoir, il racconto di sé in prima persona, mediato dalla scrittura, ma non piattamente autobiografica, bensì da un uscire da sé per guardarsi e narrarsi con distacco, un parlare di sé per parlare del mondo, che è una capacità importante per vedersi protagoniste. Ed ecco partire, a Parma, dei laboratori, condotti con Francesca Avanzini, e ora arriva la gara.
Si chiama «Donne che raccontano storie», è un concorso letterario nazionale per racconti inediti di autobiografia e memoir, scade il 30 marzo prossimo, è sostenuto dall’assessorato pari opportunità del comune di Parma e da parecchie realtà femministe e femminili. Tutte le informazioni si trovano su www.rossipoesia.net.
Dal memoir, spero, torneremo anche a riderci addosso, e a sbeffeggiare gli altri, pratica infinitamente più sovversiva della clava, e difficile, in quanto chiede equilibrismo del pensiero e della parola, una visione stralunata del mondo, tipo quando mi chiedevano che cosa avrei voluto fare da grande e io rispondevo La domatrice di bolle di sapone, perché prova a comandare una bolla di sapone, e poi ne riparliamo.

mariangela.mianiti@gmail.com