Fino a tre anni a carcere per chi utilizza frasi come «campi della morte polacchi». È uno dei punti dell’emendamento votato al Sejm, la Camera bassa del parlamento polacco, con 279 voti a favore, 5 contrari e 130 astenuti. Per diventare legge il provvedimento approvato venerdì scorso dovrà adesso passare al vaglio di una commissione del Senat, la Camera alta del parlamento, in attesa della firma del presidente polacco Andrzej Duda.

L’iniziativa voluta dal «super-ministro» Zbigniew Ziobro, che riunisce nella sua persona le funzioni della procura generale con quelle del ministero della Giustizia, mira a prevenire l’attribuzione dei crimini compiuti dal terzo Reich alla nazione polacca. Il governo della destra populista di Diritto e giustizia (PiS) ha così annunciato tolleranza sulle provocazioni revisionistiche ma anche sulle gaffe diplomatiche e gli errori linguistici degli ultimi anni, aventi come protagonisti figure del calibro di Barack Obama e il quotidiano Die Welt, di proprietà del colosso editoriale tedesco Axel Springer. Se è vero numerosi campi di sterminio nazisti era localizzati in Polonia, i fatti storici dimostrano che il governo polacco non ha mai collaborato ufficialmente con la Germania di Hitler.

La reazione più dura è arrivata da Israele. Al giorno d’oggi la Polonia è il paese al mondo che presenta il maggior numero di Giusti tra le nazioni (6.706 cittadini polacchi secondo i dati attuali ndr), un’onorificenza conferita dal Memoriale ufficiale di Israele alle persone che hanno scelto di mettere a repentaglio la propria vita per salvare anche un solo ebreo durante la seconda guerra mondiale.

«Non siamo disposti ad accettare verità distorte, la riscrittura della storia e la negazione dell’Olocausto», ha dichiarato il premier israeliano Benjamin Netanyahu. Il canale della diplomazia tra Varsavia e Tel Aviv è ancora aperto in attesa della discussione al Senat ma il governo targato PiS non sembra disposto a voler fare marcia indietro. «Questo provvedimento ha scatenato una reazione isterica nei media israeliani. Israele da anni penalizza questo tipo di dichiarazioni. Non capisco perché la Polonia non possa fare altrettanto», ha commentato il sottosegretario alla Giustizia polacco Patryk Jaki in un tweet.

In verità l’emendamento della discordia si presenta con un raggio di applicazione più vasto e finirebbe per includere altri «crimini contro l’umanità, contro la pace nonché altri crimini durante la guerra». Qualsiasi forma di dibattito pubblico sul pogrom di Jedwabne e ogni altro massacro bellico perpetrato o compiuto con la complicità, vera o presunta, dei polacchi, rischia di essere soffocato. La nuova misura prevede che, a essere risparmiati dal nuovo provvedimento, siano soltanto storici e artisti.

Un modo se non altro per limitare l’impatto della legge in materia di libertà di ricerca, e, in parte, di quella di espressione. In modo paradossale i giornalisti invece non potranno più occuparsi di divulgazione storica senza rischiare la gogna.

Questo mese un tribunale ancora prima dell’approvazione dell’emendamento ha ottenuto la rettifica di un articolo apparso un anno fa sul sito dell’edizione polacca del settimanale Newsweek e dedicato al libro «Mala zbrodnia. Polskie obozy koncentracyjne» (traducibile in italiano come «Un piccolo crimine. I campi di concentramento polacchi» ndr). In tale testo il giornalista Marek Luszczyna avanzato l’ipotesi dell’esistenza di strutture parallele di sterminio gestite da polacchi nella regione della Slesia. A suscitare numerosi dubbi è anche l’efficacia amministrativa del provvedimento in altre giurisdizioni lontane da Varsavia.