D’accordo, parlava a ruota libera dei massimi sistemi: il tema proposto in streaming dal presidente dell’europarlamento Sassoli era nientemeno che “Idee per un nuovo mondo”. E stava rivaleggiando in fantasia con una vecchia fiamma del blog, l’economista belga Gunter Pauli, consulente di Giuseppe Conte nonché teorico di un legame tra la diffusione del Covid e le reti 5G. Ma quando Beppe Grillo dal salotto di casa e in diretta facebook ieri pomeriggio ha parlato di referendum, democrazia ed elezioni, ha fatto andare di traverso al Pd i primi brindisi per la “vittoria”. E ha incenerito un bel po’ di commenti ed editoriali sulla fine del populismo, proprio lui che Zingaretti si era abituato a considerare un alleato per la tenuta dell’alleanza giallo-rossa e del governo Conte. Il sì al referendum, ha detto Grillo, è stato anche troppo poco: il taglio dei parlamentari una «domanda fastidiosa». Perché, molto semplicemente, «io non credo più nella rappresentanza parlamentare».

IL REFERENDUM, ha detto Grillo che la sua analisi del voto l’ha già fatta, «è la massima espressione democratica», se ne può fare «uno alla settimana». Non certo in questo modo, nel seggio «con la matita copiativa che qualcuno bagna con la saliva». Ma – dobbiamo dirlo? – si può fare online e gli esempi non mancano (il presidente grillino della commissione affari costituzionali della camera è andato anche a studiarli): «Lituania ed Estonia, meravigliosi». Un esempio a dire il vero lo abbiamo anche noi qui in paese, malgrado i gruppi parlamentari 5 Stelle ne abbiano già abbastanza. «Con Rousseau il cittadino può votare a tutti i livelli e può anche consigliare», dice il fondatore del Movimento. «Non concepisco più la rappresentanza parlamentare», spiega. Preferisce «la democrazia diretta che è la sua evoluzione». Anche perché «ormai a votare ci va meno del 50%» e sarebbe il caso di togliere anche l’incomodo anche a costoro. Perché «si cominciano a prospettare scenari come l’estrazione a sorte. Perché no? Se un giurato di una giuria popolare può dare un ergastolo, allora può anche occuparsi a tempo determinato del suo paese, della politica».

Dal Pd arrivano poderose alzate di sopracciglio. La sortita non piace a nessuna delle anime del partito. Chi ha votato No come Orfini non manca di sottolineare lo spirito animale del Movimento. Il vicesegretario Orlando dice in tv che secondo lui i 5 Stelle non possono «andare avanti all’infinito con l’antipolitica». Martedì anche Di Maio aveva provato a reagire alle difficoltà lanciandosi in contropiede, dicendo qualcosa sul taglio degli stipendi ai parlamentari residui, e qualcos’altro sull’introduzione del vincolo di maggioranza. Ma Grillo è stato molto più chiaro, lui del resto come ricorda spesso è «oltre».

NEL FRATTEMPO il Pd d’intesa con i 5 Stelle dovrebbe cambiare la legge elettorale, quella per il parlamento. L’accordo pre referendum era sul sistema proporzionale con sbarramento alto. Qualcosa di più evoluto del sorteggio, ma ugualmente problematico per i rapporti nella maggioranza. La soglia, nel testo base al 5%, è discutibile e discussa; i grillini spingono per le preferenze, nel Pd e in Leu si fa timidamente strada la soluzione del proporzionale con collegi uninominali (come per il senato prima del Mattarellum). Ma non è più questione urgentissima.

Serve tempo per maturare convergenze con parte dell’opposizione – Forza Italia lancia i primi segnali, e d’altra parte la batosta alle regionali spinge a preoccuparsi delle soglie. Renzi disegna scenari, ma è difficile andargli dietro quando spiega che per Iv la soglia di sbarramento al 5% non è un problema visto che il suo partito alle regionali «ha fatto una media del 5,1%» e «siamo a tre punti dal M5S». La matematica e il Viminale dicono che la media di Iv in sei regioni è del 3,18% e che i grillini sono lontani 4,21 punti percentuali.

E c’è subito un primo segnale del rilassamento, ora che l’enfasi sulle riforme di contorno al taglio dei parlamentari non serve più a giustificare il Sì. Niente di imprevisto, ma ora è ufficiale: entro la fine del mese né la legge elettorale e nemmeno la piccola riforma che cambia la base elettorale del senato arriveranno nell’aula della camera. Una buona metà degli emendamenti a questa riforma è stata dichiarata inammissibile, ma ne restano quasi quattrocento. Siamo ancora in commissione e non c’è più fretta.