Il fronte dei giornalisti ribelli mostra le prime crepe: domenica è stata giornata di scontri e incontri che hanno in parte diviso il sindacato della stampa egiziano. Si è cominciato in parlamento dove si è discusso per tre ore della questione dei media in rivolta: i deputati hanno affidato alla commissione per la stampa il compito di trovare una via d’uscita.

Il presidente del parlamento Abdel-Al ha suggerito alla commissione – che pochi giorni fa faceva appello al boicottaggio dei quotidiani – di negoziare una tregua con i rappresentanti delle istituzioni coinvolte. Dietro la proposta sta però un parlamento schierato con il ministro degli Interni Ghaffar: «Il sindacato esagera quando usa le parole ‘assalto’ o ‘violazione dalla sacralità’ della sede per descrivere l’accaduto – ha detto Abdel-Al – Chi è entrato nell’edificio applicava la legge».

Fuori dal parlamento, altre crepe: gli attacchi a Ghaffar e la richiesta di scuse ufficiali non piacciono a tutti. Così mentre il segretario Qalash annunciava il rinvio dell’assemblea prevista per oggi al prossimo martedì, parte della segreteria presenziava alla contro-assemblea organizzata dal direttore del giornale governativo al-Ahram, Mohamed Abdel-Hady.

Ribattezzato “Correggere il percorso”, il meeting (a cui hanno preso parte decine di giornalisti) si è incentrato sui modi per ammorbidire la posizione del sindacato e risolvere il conflitto con il governo. L’assemblea ha affidato a Makram Mohammed Makram, ex segretario del sindacato durante l’era Mubarak e suo sostenitore, il compito di redigere una lista di raccomandazioni, tra cui l’eventuale sostituzione dei leader sindacali: «Il fronte ‘Correggere il percorso’ – si legge nel comunicato finale – chiede ai giornalisti di sostenere la richiesta di un’assemblea generale d’emergenza per tenere nuove elezioni nel sindacato».

Per molti dei giornalisti che da 10 giorni manifestano sui quotidiani e per le strade l’iniziativa di al-Ahram altro non è che un modo subdolo per spaccare il fronte sindacale. E i primi effetti sono visibili: Qalash ha prospettato la possibilità di togliere la fiducia ai 5 membri della segreteria che hanno partecipato alla contro-assemblea. Una possibilità paventata dagli stessi 5 membri che stanno pensando alle dimissioni: «Sono totalmente contrario al fatto che il sindacato sia stato dirottato da persone che agiscono contro gli interessi della professione», il commento del membro Hatem Zakaria.

Rischia così di collassare un movimento che ha riacceso le aspirazioni democratiche del popolo egiziano, schiacciato dalle politiche repressive del presidente al-Sisi. Mentre resta in carcere Ahmed Abdallah, consigliere della famiglia Regeni, alle decine di attivisti arrestati in queste settimane si aggiunge Izz al-Din Khaled: artista 19enne del gruppo satirico Atfal al-Shawarei, è stato preso dalla polizia all’alba di domenica con la solita accusa di incitamento alle proteste.

Il gruppo è nel mirino del governo perché critico del regime e molto seguito: i video satirici pubblicati su YouTube sono stati visti da centinaia di migliaia di persone.

Regeni, nuovi insabbiamenti

Sono rientrati ieri dal Cairo gli investigatori italiani dopo l’incontro di domenica con la controparte egiziana. Secondo fonti egiziane la Procura di Roma ha reiterato la stessa richiesta: tutti i tabulati telefonici del 25 gennaio e del 3 febbraio nelle zone di scomparsa di Giulio e del suo ritrovamento e i video delle telecamere di sorveglianza. Ma, di nuovo, non li ha ottenuti. Gli egiziani avrebbero invece consegnato verbali di testimonianza che dovranno essere tradotti dall’arabo.

Fredda la Farnesina: «Aspetto una valutazione della Procura – ha detto il ministro Gentiloni – Il fatto che siano ripresi dei contatti è un fatto positivo, ma bisogna vedere cosa c’è dentro» al faldone consegnato.

Ma a preoccupare sono gli insabbiamenti operati dai servizi. L’ultimo giunge dal sito Vetogate, vicino all’intelligence del Ministero: il procuratore generale Sadeq avrebbe aperto un fascicolo sulla testimonianza dell’avvocato Mustafa Alawani secondo cui Giulio era in contatto con una banda di poliziotti corrotti guidata dal colonnello Mohammed Z., che poi lo avrebbe ucciso.

Tramite l’organizzazione con cui aveva conti in sospeso, Alawani avrebbe incontrato Regeni un mese prima della scomparsa in un ristorante ad Heliopolis. L’avvocato – riporta Vetogate – aveva già conosciuto Giulio tempo prima come «funzionario del Ministero degli Esterni italiano».

Regeni, in cambio di 150mila euro trasferiti in un conto Unicredit, avrebbe chiesto ad Alawani informazioni sull’eventuale implicazione di poteri stranieri nella deposizione del presidente Morsi; sulle identità dei vertici di esercito, polizia e magistratura responsabili degli attacchi ai Fratelli Musulmani e del massacro di Raba’a al-Adawiya; dei rapporti tra il palestinese Dahlan e i terroristi di Beit al-Muqaddes. Informazioni, dice l’avvocato, necessarie ad una causa che Giulio voleva presentare alle corti internazionali contro al-Sisi. Di nuovo spie e bande criminali che allontanano dalla verità.