A quasi un anno dall’annuncio di Pietro Grasso di voler bloccare i vitalizi dei parlamentari condannati in via definitiva, la delibera è stata approvata ieri dagli uffici di presidenza di Camera e Senato. Non senza polemiche, visto che gli esponenti di Forza Italia hanno abbandonato le sedute, ritenendo che sarebbe stata necessaria una legge e non una semplice delibera degli uffici di presidenza. Mentre i Cinque Stelle a Montecitorio sono usciti dall’aula e a Palazzo Madama hanno votato contro, giudicando la stesura finale del provvedimento troppo morbida rispetto ai loro desideri, e denunciando che la delibera ha «salvato» anche un condannato come Silvio Berlusconi.

Lo stop alle pensioni a vita è arrivato dopo una efficace campagna di Libera e del Gruppo Abele che ha raccolto 500mila firme, e dopo che una proposta simile (il blocco dei vitalizi per gli ex politici condannati per mafia) aveva raccolto sul web altre 130mila firme. Tra i reati compresi nella delibera ci sono quelli di mafia e di terrorismo, e a seguire la maggioranza dei reati contro la pubblica amministrazione: dal peculato alla concussione, dalla corruzione alla violazione del segreto. Non c’è però l’abuso d’ufficio, fatto che ha provocato la reazione pentastellata: «Non partecipiamo al voto, questa porcata se la votano da soli»: questo il commento del deputato e vicepresidente della Camera Luigi Di Maio, mentre Beppe Grillo protestava davanti al parlamento.

Più in dettaglio, la delibera introduce misure per la «cessazione dell’erogazione di vitalizi e pensioni» a favore dei parlamentari cessati dal mandato «che abbiano riportato condanne definitive per reati di particolare gravità». Invece per i reati minori è necessario che ci sia stata «una condanna definitiva con pene superiori a due anni di reclusione per delitti non colposi, consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a sei anni».

Fra i punti contestati della delibera c’è poi quello della riabilitazione: nel caso in cui venga richiesta dall’interessato (potrà farlo dopo 10 anni dalla fine della condanna per i reati più gravi, e dopo 3 anni nei casi meno gravi) e venga concessa dal giudice, comportando la cancellazione della condanna dalla fedina penale, il vitalizio potrà essere riassegnato. Stop alla pensione anche nel caso di patteggiamento, ma la misura varrà a partire dall’entrata in vigore della legge. «Quando uno decide di patteggiare – è stato sottolineato – deve sapere prima a cosa va incontro».
La delibera sarà operativa fra due mesi, le misure saranno applicate ai parlamentari «cessati dal mandato che, alla data di entrata in vigore» del provvedimento «siano già stati condannati in via definitiva, o che, successivamente a tale data, riportino condanna definitiva per i delitti previsti». Con questa formulazione, a chi non è più in carica non sarà chiesta la restituzione delle somme pregresse.

C’è voluto quasi un anno per l’approvazione. Nel mezzo anche polemiche giuridiche, come quella espressa dal costituzionalista Mirabelli – e assunta dai forzisti – secondo il quale sarebbe servita una legge e non una semplice delibera. «Una tesi paradossale – hanno ribattuto Pietro Grasso e Laura Boldrini – perché la materia è ricompresa nell’autonomia normativa delle Camere». Fra i più conosciuti ex politici colpiti dal provvedimento ci sono Cesare Previti, Marcello Dell’Utri e Totò Cuffaro. Soddisfatta Libera: «Abbiamo raggiunto l’obiettivo principale della nostra campagna di mobilitazione». E don Luigi Ciotti ha telefonato a Pietro Grasso per ringraziarlo.