La camera dei deputati approverà stasera la riforma costituzionale che taglia i parlamentari di oltre un terzo. Non c’è alcuna incertezza sull’esito del voto, come non c’è mai stata se non nella pretattica della maggioranza che ha così tenuto sulla corda i non pochi contrari che pure ci sono tra i giallo-rossi. Almeno fino a che non è arrivata la certezza che anche le opposizioni parteciperanno al rito di auto mutilazione del parlamento, che dovrebbe così raggiungere vette del pallottoliere mai viste in questa legislatura. Quella che Montecitorio consegnerà oggi agli archivi si candida a diventare la riforma votata dalla più capricciosa maggioranza della storia: 5 Stelle e Lega con l’aggiunta di Forza Italia e Fratelli d’Italia nelle prime due votazioni, solo 5 Stelle, Lega e Fratelli d’Italia nella terza, tutti o quasi tutti nella quarta e decisiva votazione, se come sembra la Lega stasera scenderà dal suo insostenibile Aventino.

Solo all’ultima tappa, allora, questa revisione costituzionale potrà contare sui due terzi dei voti dell’aula, troppo tardi per evitare la possibilità che venga chiesto il referendum confermativo previsto dall’articolo 138 della Costituzione. Referendum che però potrebbe essere chiesto solo con la partecipazione di qualche partito che oggi voterà a favore della riforma, diversamente resta solo la proibitiva raccolta di 500mila firme. «Dovremmo essere noi stessi a rivolgerci ai cittadini per sapere se approvano il taglio», ha proposto il deputato di Leu Nico Stumpo, ieri durante la discussione generale. Ma la sua è rimasta una voce isolata. Avere a disposizione 6 o 7 mesi in più (il tempo necessario per svolgere il referendum) potrebbe far comodo al Pd e a Leu, che così potrebbero condurre in porto le «compensazioni» che avrebbero dovuto essere «contemporanee» al taglio dei parlamentari. Ma nessuno ci tiene a lanciarsi in una campagna elettorale per difendere un provvedimento che convince a pieno solo i 5 Stelle.

Ieri sera i capigruppo di M5S, Pd, Italia viva, Leu e del gruppo delle autonome del senato hanno raggiunto l’accordo sul «documento politico» che contiene gli «impegni in tema di riforme costituzionali, leggi elettorali per la camera e il senato e regolamenti parlamentari». Nessuna sorpresa nel testo, che è stato diffuso subito rinunciando all’idea di una conferenza stampa congiunta, inizialmente fissata per oggi. Oggi ci sarà invece la festa grillina, che gli alleati si augurano sia il meno sguaiata possibile. Ma non ci sono garanzie, in fondo Di Maio ha minacciato di regalare una piccola poltrona a chi oserà votare contro.

Nel testo del «documento politico» è confermato l’impegno a presentare entro dicembre una nuova legge elettorale, perché la riduzione dei parlamentari «aggrava alcuni aspetti problematici» del Rosatellum – difetti che il Pd riconosce ufficialmente per la prima volta. Non c’è scritto quale legge elettorale sarà, ma dall’obiettivo – «garantire più efficacemente il pluralismo politico e territoriale» – si capisce che si punta verso il proporzionale con sbarramento. «Il punto di caduta logico non può che essere un sistema elettorale con più proporzionale di oggi – dice il capogruppo di Leu alla camera, Federico Fornaro -. Solo la formula proporzionale può aiutare ad attutire gli effetti di compressione della rappresentanza territoriale e politica. Non certo più maggioritario». Il documento dice anche che la nuova legge dovrà attenersi al «rigoroso rispetto dei principi della giurisprudenza della Corte costituzionale in materia elettorale». Un modo per frenare gli appetiti del Pd per un doppio turno con premio di maggioranza, il cuore dell’Italicum già bocciato dalla Consulta. Ma anche per dire no alle liste bloccate troppo lunghe.

Poi il documento ricapitola le tre «compensazioni» sulle quali c’è accordo – equiparazione dell’elettorato attivo e passivo del senato a quello della camera, modifica del principio per il quale il senato è eletto a base regionale e riduzione dei delegati regionali nell’elezione del presidente della Repubblica – e prende atto che non tutte potranno entrare come emendamenti nella legge costituzionale sul voto per il senato, l’unica già in fase avanzata di discussione.

Sul capitolo regolamenti parlamentari, agli adeguamenti nei quorum resi obbligatori dalla riduzione di deputati e senatori si aggiunge la previsione del voto a data certe sui provvedimenti del governo, quello che già Renzi tentò di introdurre con la sua riforma costituzionale. Molto più sfumate, e spostate a dicembre, le novità alle quali tiene il Pd in tema di sfiducia costruttiva e partecipazione dei governatori ad alcune votazioni del senato. Se ne parlerà in «un percorso aperto ai contributi dei costituzionalisti e della società civile». Da segnalare infine un primo segnale di smarcamento dei renziani. Malgrado sia stato proprio Renzi a indicare il taglio dei parlamentari come il primo compito della nuova maggioranza (assieme alla sterilizzazione degli aumenti Iva), ieri Maria Elena Boschi all’uscita della sala Aldo Moro, dove aveva partecipato alla riunione come capogruppo di Italia viva, ha spiegato che «la riforma non migliorerà il funzionamento delle camere».