«Tutti i cittadini e le cittadine hanno gli stessi diritti e gli stessi doveri davanti alla legge senza nessuna discriminazione», afferma l’articolo 20 della nuova Costituzione tunisina approvato ieri.

Per ora si tratta di un’affermazione generica di parità che non dovrebbe comportare cambiamenti rispetto al passato. La Tunisia, infatti, era già il paese musulmano più avanzato nel riconoscimento dei diritti delle donne. Tuttavia, dopo la vittoria degli islamisti nelle elezioni della costituente del 23 ottobre 2011, nulla era scontato. Lo scorso anno infatti il partito religioso Ennahdha aveva cercato di fare passare il concetto di «complementarietà», vale a dire le donne avrebbero goduto di diritti in quanto complementari del maschio. Questa sortita di Ennahdha aveva provocato grandi manifestazioni di protesta inducendo il partito a ritirare l’ignobile proposta. L’approvazione dell’articolo 20, ieri, è stata giudicata «una vittoria» da Ahlen Belhadj, ex presidente dell’Associazione tunisina delle donne democratiche. Che ha aggiunto, in una dichiarazione all’agenzia Afp «era una nostra rivendicazione».

Una vittoria per ora incompleta. Molte ong hanno criticato l’assenza nella Costituzione di uno specifico articolo che vieti l’approvazioni di leggi discriminatorie in base al sesso, all’etnia o alla religione. E poi manca ancora il via libera all’articolo 45 che riguarda i diritti delle donne e soprattutto la questione delle pari opportunità tra uomo e donna.

Difficile immaginare, per esempio, che possa essere eliminata la disparità tra uomo e donna sulla questione dell’eredità, nonostante questa sia una rivendicazione delle donne tunisine per garantire la parità di genere. Ma l’eredità è un tabù in tutti i paesi musulmani.

Nel nuovo testo la Tunisia viene definita una Repubblica e «uno stato civile governato dalla supremazia della legge», e l’islam è la religione di stato, ma lo era anche nella vecchia costituzione. È stata invece respinta la proposta islamista di fare del Corano e della Sunna (insegnamenti del profeta) la fonte principale della legislazione.

Domenica la discussione era stata bloccata dall’accusa di «nemico dell’islam» rivolta da un deputato di Ennahdha, Habib Ellouze, a Mongi Rahoui del Fronte popolare perché aveva proposto un emendamento all’articolo 6 contro l’apostasia (takfir). All’accusa erano seguite minacce di morte contro Mongi. Dopo questi fatti il Blocco democratico è riuscito a far votare nuovamente un emendamento (respinto sabato) che proibisce «le accuse di apostasia e l’incitamento alla violenza». Nello stesso articolo (che è passato con 131 voti a favore su 183 votanti) viene garantita anche la «libertà di coscienza».

Mancano ancora diversi articoli che saranno esaminati nei prossimi giorni perché la Costituzione deve essere varata entro il 14 gennaio, terzo anniversario della caduta di Ben Ali. Con molto ritardo rispetto alla scadenza inizialmente prevista dalla fase di transizione. L’approvazione della costituzione era infatti fissata per il 23 ottobre del 2012, un anno dopo le elezioni, ma per molti mesi nessun accordo è stato possibile. Poi la paralisi dell’Assemblea nazionale costituente, provocata dalle proteste e dalle dimissioni di molti deputati in seguito agli assassinii politici di Chokri Belaid e Mohamed Brahmi, due esponenti dell’opposizione di sinistra, finché lo stallo non è stato interrotto dal dialogo nazionale.

La nuova road map è stata imposta dal Quartetto (il principale sindacato Ugtt, il padrondato, l’Ordine degli avvocati e la Lega per i diritti dell’uomo) che ha guidato il dialogo nazionale al quale hanno partecipato tutte le forze politiche tunisine. Questa road map oltre alle dimissioni del governo guidato da Ennahdha, la nomina di un nuovo premier Medhi Jomaa (non apprezzato dall’opposizione), che dovrà formare un governo «tecnico» per arrivare a nuove elezioni, prevedeva per l’appunto l’approvazione della Costituzione in tempi stretti. Anche perché se la Costituzione non sarà approvata dai due terzi dei costituenti dovrà essere sottoposta a referendum. E questo ritarderebbe le nuove elezioni, che dovranno essere fissate dalla costituente che ha anche il compito di varare la nuova legge elettorale.