Per fortuna che Giorgia c’è. Il congresso di Fratelli d’Italia offre a Matteo Renzi un alibi per il rinvio dell’approvazione della legge elettorale e soprattutto garantisce altri tre giorni per l’estremo tentativo di mediazione sulla parità di genere. Il pressing è massiccio. Al premier, a Berlusconi e ad Alfano, i tre soci contraenti del patto, è arrivata una lettera firmata non solo dalle parlamentari del Pd e degli altri partiti di maggioranza, ma anche da molte esponenti di Forza Italia. La presidente della camera Laura Boldrini lancia dai microfoni di Radio Radicale un appello accorato «a tutti i partiti, alle deputate e ai deputati» perché «facciano in modo che non si torni indietro e venga riconosciuta alle donne la possibilità di essere candidate in posizione eleggibile».

Ma la strada resta in salita erta. Forza Italia di liste alternate uomo-donna non vuol neppure sentir parlare, e poco male se le sue stesse donne, con poche eccezioni tra le quali spicca Danielona Santanchè, la pensano diversamente. I voti di giovedì, con la legge salvata solo dal soccorso azzurro forzista, hanno dimostrato a Renzi che la sua legge, senza la «profonda sintonia» con re Silvio, andrebbe a fondo. Dunque nonostante le mobilitazioni, gli appelli e le pressioni d’ogni sorta gli emendamenti sulla parità di genere, salvo miracoli del week end, non passeranno.

Al Senato, però, la partita rischia di rivelarsi molto più difficile, e non solo sul fronte rosa. A Montecitorio l’Italicum non è passato per la giungla della commissione Affari costituzionali, che non ha discusso neppure un solo emendamento. A palazzo Madama, invece, dovrà uscire indenne dal vaglio della commissione, e non sarà per niente facile. La presidente è Anna Finocchiaro, prima vittima del repulisti renziano e messa tanto brutalmente all’angolo da avere ormai ben poco da perdere. Ieri la presidente ha detto chiaro e tondo che, a suo parere, la legge dovrebbe essere cambiata in tre aspetti determinanti: chiede non solo la parità di genere ma anche l’innalzamento al 40% della soglia per accedere al premio di maggioranza e l’abbassamento di quella dell’8% per i partiti non in coalizione.

Parole che hanno scatenato l’ira del omologo presidente della commissione Affari costituzionali della Camera Francesco Paolo Sisto: «Sono dichiarazioni sconcertanti. C’è un patto con Matteo Renzi e la Finocchiaro si permette di dire che sarà cambiato?». La presidente, presa di mira, frena: «Evidenziavo solo che esistono questioni sensibili sulle quali si sta discutendo. Ma so bene su quali equilibri si regge la possibilità di un esito positivo e lavorerò col massimo equilibrio per ottenere questo risultato».

Tutto chiarito e risolto, dunque? Proprio no. Per Renzi il Senato rischia invece di rivelarsi un Vietnam. I senatori tutti sono imbestialiti per la ruvidità con cui il ragazzino di Firenze intende rottamarli. Quelli del Pd gli sono in stragrande maggioranza ostili. La probabile bocciatura della parità lascerà ulteriori ferite aperte. In più due partiti della stessa maggioranza, Ncd e popolari, ai quali forse si aggiungerà anche Scelta civica, confermano un giorno sì e l’altro pure l’intenzione di dare battaglia su capitoli tanto strutturali quanto l’inserimento delle preferenze e le primarie.

Si può capire che don Matteo e soprattutto le sue ministre inizino a palesare un certo nervosismo. Capita così a Maria Elena Boschi, titolare delle riforme dunque più di tutti in prima linea, di sommare il terzo scivolone in pochi giorni. Un record. Una lettera firmata dall’on. Michele Anzaldi, guardia d’onore “boschiana” nonché segretario della commissione di vigilanza Rai, alla presidente della tv pubblica Anna Maria Tarantola per protestare contro l’imitazione dell’onorevolissima ministra andata in onda su Ballarò: «E’ forse questo il servizio pubblico?». Per carità, ministra, faccia un bel respiro. Cerchi di non far sconfinare la «profonda sintonia» col cavaliere in una riedizione degli editti bulgari. Creda, non sta bene.