Bar chiusi da oggi per almeno 15 giorni, restrizioni nei ristoranti dove al massimo le tavolate potranno essere di 6 persone e i clienti dovranno lasciare il numero di telefono, chiusi i club sportivi mentre le piscine restano aperte solo per le scuole, proibite le riunioni di più di 10 persone in strada e nei parchi (ma i mercati sono esclusi), annullati tutti i congressi e chiusi i parchi di esposizione, le università potranno occupare solo il 50% della capacità negli anfiteatri, molte lezioni passano online, le feste degli studenti sono fuori legge, 4 mq per cliente nei centri commerciali, il telelavoro deve essere favorito, mentre dopo l’estate era stato un po’ abbandonato per tornare alle vecchie abitudini di presenza in ufficio.

Parigi e la periferia più ravvicinata si chiudono di nuovo, in un lockdown parziale, perché la zona è stata piazzata in «allerta scarlatta», con «misure per frenare» la corsa dell’epidemia, ha spiegato il Prefetto Didier Lallement, che «va troppo in fretta», rischia di scappare di mano e di mettere di nuovo in difficoltà il sistema ospedaliero, che manca di personale sanitario.

Queste misure sono applicate anche a Marsiglia e Aix-en-Provence: qui, da una settimana erano già stati chiusi bar e ristoranti, così le nuove norme diventano meno restrittive (per i ristoranti), ma la seconda città francese ha approfittato del nuovo protocollo per rinnovare la ribellione «contro Parigi che ci punisce», insistono al comune. Mentre a Parigi i bar, pur trascinando i piedi, attraverso le loro organizzazioni assicurano che accettano le restrizioni, la ribellione riprende nel sud.

La nuova giunta, guidata dalla sinistra ecologista di Printemps marseillais, ha fatto sapere di avere l’intenzione di nominare un «consiglio scientifico» locale, una sfida alla capitale e al centralismo statale. Eppure, Didier Raoult, professore di Marsiglia diventato il simbolo di un populismo sanitario che si oppone alle restrizioni, era stato chiamato dal governo a far parte del consiglio scientifico nazionale, ma ha sempre disertato le riunioni. È stata persino ventilata l’ipotesi di una candidatura di Raoult alle prossime presidenziali, punto-chiave di tutta la politica francese. In altri termini, attorno al Covid e alle norme per combatterlo, si sta giocando in Francia una battaglia politica, che rischia di avere effetti deleteri anche sul piano sanitario. A Marsiglia, la scorsa settimana, la sinistra che controlla il comune si è unita alla destra che governa la regione per sporgere denuncia alla giustizia amministrativa contro le «imposizioni» del governo sulle chiusure imposte a bar e ristoranti.

Il governo è messo sotto accusa fin dall’inizio della crisi del Covid, prima per la penuria di mascherine e il presunto ritardo nelle reazioni, poi per aver allentato troppo i controlli durante l’estate, infine per non aver messo in atto un programma di test efficiente (ne fanno tanti, ma i risultati arrivano con ritardo a causa della troppa pressione sui laboratori). Sintomo della sfida verso le istituzioni è lo scarsissimo successo che sta avendo l’app StopCovid sui telefonini. Il servizio non decolla. Bisogna dire che il governo non aiuta: la scorsa settimana, in una serata-intervista in tv al primo ministro, a cui era presente quasi tutto il governo come spettatore, Jean Castex ha ammesso di non aver scaricato StopCovid e come lui anche alcuni ministri. Il responsabile degli Esteri, Jean-Yves Le Drian ha trovato una scusa – il suo telefono è troppo protetto per poter scaricare app. Tutto questo alimenta lo scetticismo e la sfida tra i cittadini, con i social scatenati, che raccolgono tutte le proteste incrociate.