Il generale Haftar è arrivato a Parigi ieri e il premier di unità al-Sarraj oggi per il trilaterale a sorpresa organizzato dal neo-presidente francese Macron.

Dopo i fallimentari incontri al Cairo a metà febbraio e ad Abu Dhabi a maggio, i due rappresentanti di Tripolitania e Cirenaica siederanno allo stesso tavolo. Non a Roma, insignita da Bruxelles e Washington del ruolo di primo mediatore della crisi libica, ma a Parigi che da anni tenta di scippare la Libia all’Italia.

Secondo quanto detto ad Agenzia Nova da una fonte del ministero della difesa di Tripoli, «si discuterà di come ridurre il numero dei membri del Consiglio di presidenza a tre persone, in rappresentanza delle tre regioni, e della modifica dell’articolo 8 dell’accordo politico» del dicembre 2015, sfidato da Haftar perché riconosce capo dell’esercito il potere civile (il premier).

I due potrebbero discutere anche della poltrona vacante di ministro della difesa dopo la sospensione di al-Barghati a seguito dell’attacco islamista alla base di Brak al-Shati e la morte di 141 persone, per lo più uomini di Haftar.

Si discuterà, forse, delle elezioni presidenziali e parlamentari previste da Tripoli per marzo 2018. Ma senza riconciliazione, con Haftar impegnato ora a Derna (bombardata da giorni per scacciare i jihadisti presenti) e decine di altre autorità in giro per il paese (tra clan tribali e città-Stato), un simile traguardo appare utopia.

All’incontro parigino prenderà parte anche il nuovo inviato Onu per la Libia, Ghassam Salame che porta con sé una prima «conquista»: l’apertura di un ufficio della missione Onu a Bengasi, ultima legittimazione di Haftar in ordine di tempo.

Insomma a Parigi ci sono tutti, tranne Roma che su al-Sarraj ha puntato tutto «inimicandosi» la Cirenaica. L’Italia non nasconde il fastidio per l’iniziativa francese, neppure comunicata al governo italiano che lo ha saputo – per vie traverse – da Tripoli.

Cosa fa la Francia per convincere le due parti? Da una parte gioca sulle paure strutturali di al-Sarraj, conscio della sua estrema debolezza nonostante l’endorsement internazionale; dall’altra sulle mire di Haftar che, consapevole di essere ormai indispensabile alla pacificazione, sfrutta gli interessi altrui per ergersi a leader del paese.

Dove per altrui si intenda la Russia, che vuole uno sbocco sul Mediterraneo parallelo a quello siriano, e la stessa Francia che mai ha digerito il dominio italiano in Libia.

Dopotutto è Parigi che dall’intervento Nato del 2011, principalmente sponsorizzato da Sarkozy, punta alla Cirenaica, non disprezzando come possibile soluzione la partizione del paese. Una partizione che garantisca alla Total di gestire a fini di esportazione le ricchezze della regione orientale a scapito della tradizionale politica dell’Eni (primo produttore in Libia) che ha fatto della distribuzione alla popolazione libica un must che richiede, al contrario, stabilizzazione e unità.

Lo si è visto sotto la presidenza Hollande quando l’Eliseo inviò ufficiosamente unità speciali in Cirenaica a sostegno di Haftar, per essere «smascherata» dalla caduta di un aereo a Bengasi e la morte di tre soldati francesi, nel luglio 2016.

Energia, soldati e ovviamente flussi migratori, l’altro obiettivo francese per l’incontro di oggi: la politica delle porte chiuse si sposta in Libia dove, dicono fonti interne, l’idea di Macron potrebbe essere quella di un corridoio blindato nel deserto, lungo i confini con Niger e Ciad, per bloccare a monte il passaggio di migranti. Un corridoio possibile solo con un’intesa Tripoli-Bengasi.