Benyamin Netanyahu offre aiuto e cooperazione di sicurezza alla Francia ferita dagli attentati dell’Isis di venerdì sera a Parigi. Più di tutto dice al presidente Hollande e ai leader ed europei di non fare distinzioni «fra tipi diversi di terrorismo», ossia non devono separare l’Intifada palestinese dal jihadismo globale. «Il terrorismo è sempre da condannare in quanto colpisce persone innocenti», ha detto ieri sera in diretta tv menzionando l’uccisione due giorni fa nella Cisgiordania occupata di due coloni israeliani, Yaacov e Netanel Litman, in un agguato armato palestinese.

È dall’attacco aereo alle Torri Gemelle del 2001 che i governi israeliani provano a trasformare agli occhi della comunità internazionale la lotta palestinese per l’indipendenza, contro la colonizzazione, per la fine dell’occupazione militare, in un’offensiva terroristica a sfondo religioso contro Israele e gli ebrei, parte di un disegno jihadista globale. Nel 2001, mentre la polvere sollevata delle macerie delle Twin Towers ancora avvolgeva New York, il primo ministro Ariel Sharon disse al segretario di stato Colin Powell che «Ciascuno ha il suo Osama Bin Laden e il nostro si chiama Yasser Arafat» mettendo sullo stesso piano il leader di al Qaeda e il presidente palestinese. Con Arafat finirono sul banco degli imputati tutti i palestinesi che, addirittura, per qualche ora dopo gli attacchi alle Torri Gemelle furono indicati, non si è mai saputo bene da chi, come i responsabili del più grave attentato della storia recente. Intervenne Gilles Kepel, specialista di Islam e del mondo arabo, per dire che era impensabile attribuire la responsabilità dell’11 settembre ad organizzazioni palestinesi e a indicare subito come colpevole Osama Bin Laden.

Persuadere l’Europa, i suoi leader e l’opinione pubblica occidentale che l’Intifada palestinese equivale al jihadismo dell’Isis e di al Qaeda è il tassello centrale nella strategia del premier israeliano a sostegno della tesi «Vorremmo ma non possiamo», ossia Israele non vorrebbe negare la libertà ai palestinesi ma non può concederla perchè facendolo metterebbe a rischio la sicurezza dei suoi cittadini e la sua stessa esistenza. Una strategia che contempla il riconoscimento occidentale dello status quo dell’occupazione di Cisgiordania e Gerusalemme Est e della “legalità” delle colonie costruite in violazione del diritto internazionale. Un punto quest’ultimo tornato alla ribalta qualche giorno dopo l’imposizione ufficiale della Commissione europea di una etichettatura diversa (rispetto al Made in Israel) per le merci delle colonie ebraiche destinate all’esportazione verso l’Ue. Un passo che ha fatto infuriare l’establishment israeliano.

Rispetto ad Ariel Sharon, Netanyahu oggi può contare su una Europa più razzista e islamofoba di 14 anni fa e davvero poco incline a sostenere i diritti dei popoli oppressi, specialmente se arabi e musulmani. La minaccia e i terribili attentati dell’Isis alla sicurezza dei cittadini francesi e più in generale europei, favoriscono la «comprensione della tesi» di Netanyahu. «Ci vorrà ancora del tempo ma alla fine l’Europa capirà» ci diceva ieri sera il professor Gerald Steinberg, analista del Centro “Besa” dell’Università di Bar Ilan (un laboratorio della destra israeliana) – «I leader europei poco alla volta si renderanno conto che i loro Paesi si trovano sotto attacco terroristico, esattamente come Israele e che non ci sono differenze Netanyahu stasera (ieri) ha parlato a nome di tutti gli israeliani».

In questo quadro si riesce appena a sentire la flebile voce del presidente palestinese Abu Mazen che ieri non ha saputo andare oltre un semplice comunicato. «Condanniamo gli attacchi di Parigi ed estendiamo la nostra simpatia e la nostra solidarietà al popolo francese e al suo governo». Con un premier israeliano tanto determinato, al leader palestinese per dare forza alle ragioni del suo popolo non sarà sufficiente essere in prima fila ai funerali delle vittime, come fece dopo l’attacco di inizio anno a Charlie Hebdo. Da Gaza il movimento islamico Hamas ha condannato gli attentati di Parigi. «Proprio i palestinesi – ha detto un suo portavoce – possono condividere i sentimenti dei francesi perchè siamo esposti quotidianamente al terrorismo dell’occupazione israeliana».