Per le organizzatrici è «la più grande marcia della storia di Francia contro le violenze sessiste». Ieri 49mila persone (secondo un’agenzia indipendente) hanno sfilato a Parigi , molte donne ma anche tanti uomini. Cortei anche in altre città del paese, un fiume viola organizzato da #noustoutes (con associazioni, sindacati, partiti) per denunciare un dramma che la politica comincia appena a prendere in considerazione: 136 donne morte dall’inizio dell’anno in Francia, uccise dal partner o dall’ex). Nel 2018 ci sono stati 82 orfani e più di 60 hanno assistito al delitto. Una su tre delle uccise aveva denunciato violenze ma né la polizia né la giustizia avevano ritenuto necessaria una protezione o misure di allontanamento del marito violento.

In testa alla manifestazione parigina c’era l’organizzazione delle famiglie delle vittime di femminicidio, con le foto delle uccise. Delle femen sono intervenute in Place de la République, nel corso del corteo ci sono state anche brevi irruzioni delle “femministe antifasciste” vestite di nero, con il volto coperto.

Il corteo parigino è stato «storico» anche perché per domani sono attese le decisioni del governo per arginare questo dramma. La Francia è in ritardo rispetto ad altri paesi europei. Qui per le associazioni di lotta il modello resta la Spagna, che ha ridotto di molto le violenze investendo nella difesa delle donne. «Un miliardo di euro» chiedono le francesi. Difficilmente lunedì sarà annunciata una cifra del genere. Ma dovrebbero arrivare alcune decisioni: dalla formazione per i poliziotti troppo spesso distratti o indifferenti nel prendere le denunce, fino a modifiche nella procedura giudiziaria e nella protezione di chi si sente in pericolo. È facile prevedere che le scelte del governo saranno accolte con freddezza, ma resta la speranza che «con questa marcia i poteri pubblici prendano finalmente decisioni all’altezza» della gravità della situazione, dicono a #noustoutes.

Il collettivo organizzatore chiede che la parola delle donne venga creduta, contrariamente a quello che succede troppo spesso; che ci sia un programma di formazione per poliziotti e magistrati. È in corso una discussione tra i medici, alcuni ritengono che ci dovrebbero essere delle denunce automatiche quando vengono constatati segni di violenza, altri invocano il segreto medico. Ci sono già molte leggi in Francia che potrebbero venire utilizzate per proteggere le donne in pericolo, ma nei fatti non vengono applicate. «Donne assassinate, la patria indifferente» è lo striscione posto ieri sulla statua di Place de la République ieri. Nel corteo, molti cartelli di denuncia di situazioni quotidiane: «Abbasso il patriarcato, quando è no è no». Ogni anno in Francia ci sono più di 200mila donne vittime di violenze, fisiche o psicologiche. Un’escalation che rende difficile la vita quotidiana in strada, sui luoghi di lavoro e in famiglia.

Nell’ultima settimana si sono moltiplicate le reazioni contro il regista Roman Polanski, in occasione dell’uscita del suo film J’accuse, dedicato all’affaire Dreyfuss. Polanski, già incriminato nel ’77 negli Usa, arrestato a più riprese a Los Angeles, Zurigo e in Polonia, dall’8 novembre deve rispondere in Francia a una nuova accusa di violenza sessuale della fotografa Valentine Monnier, che sarebbe avvenuta nel ’75 in Svizzera, quando la ragazza aveva 18 anni. La prima di J’accuse doveva tenersi martedì al cinema Champo, vicino alla Sorbona, ma è stata impedita da un gruppo di femministe.

Da lunedì il Parlamento europeo a Strasburgo discute sulla lotta alla violenza sessuale, giovedì verrà votata una risoluzione per spingere i 7 paesi Ue che non l’hanno ancora fatto (Bulgaria, Ungheria, Lettonia, Lituania, Slovacchia, Repubblica Ceca e Gran Bretagna) a ratificare la Convenzione di Istanbul, varata dal Consiglio d’Europa, primo strumento internazionale giuridicamente vincolante, che istituisce un quadro completo di misure per prevenire la violenza, sostenere le vittime e punire gli aggressori.