Sul campus di Cal State Long Beach, l’università vicina al porto di Los Angeles, una veglia ha radunato insegnanti, professori e amici di Nohemi Gonzalez, la studentessa di 23 anni che stava frequentando un corso di studio alla Strate École de Design nella capitale francese.

Venerdì sera è stata falciata dalle raffiche degli attentatori mentre sedeva coi compagni in un ristorante del 10ème. La ragazza californiana è la prima vittima americana accertata della strage.

Nick Alexander, cittadino britannico è morto ucciso nella carneficina del Bataclan; era li come manager del merchandising degli Eagles of Death Metal – la band di Palm Desert che intanto ha interrotto la tournee ed è rientrata in California.

Il nome del gruppo è ironico dato che la band non suona metallo ma rock commerciale, apparentemente un simbolo ugualmente valido di dissoluzione occidentale per il commando che ha seminato la morte nella folla di ragazzi venuti ad ascoltarli.

A di la delle funeste e fortuite coincidenze geografiche (californiani erano anche un paio dei passeggeri che ad agosto avevano sventato una strage sul TGV a Pas-de-Calais) gli americani partecipano al lutto francese con un inevitabile senso di déjà vu.

Accorata era stata anche la partecipazione alla strage di Charlie Hebdo ma il venerdì 13 parigino somiglia per la pura casualità della violenza pensata per colpire sport, musica, svago – la vita comune di persone innocenti – rammenta più da vicino quella dell’11 settembre per l’efferatezza nel seminare il panico e la volontà di paralizzare nell’intimo la cittadinanza di un intera città.

«Un attacco all’umanità» come lo ha definito Barack Obama prima di partire per il summit G20 in Turchia. «Coloro che pensano di terrorizzare i francesi o i valori che rappresentano si sbagliano» ha aggiunto, obbligatoriamente.

Alla solidarietà istituzionale si è affiancata quella accorata e corale della gente, ai monumenti illuminati col tricolore i corsivi, le canzoni di Edith Piaf e Serge Gainsbourg suonate dalle radio, la programmazione di film francesi, i palinsesti modificati e la Marsigliese suonata dalle orchestre.

Saturday Night Live lo storico programma di satira della NBC ieri sera ha aperto la trasmissione con un tributo alla «Ville Lumière la cui luce non si spegnerà mai».

Tutti i principali network – ABC, CBS, NBC e CNN – hanno spedito in Francia gli anchorman per trasmettere i servizi da Parigi (compreso Geraldo Rivera il neocon della Fox News la cui figlia per coincidenza durante gli attentati si trovava allo Stade de France). Una programmazione che rende la misura della solidarietà con «l’alleato più antico» nelle parole di Obama

Il rapporto di odio/amore, ammirazione/diffidenza che lega da sempre e divide America e americani dagli amici/concorrenti che gli hanno spedito il marchese di Lafayette e regalato la statua della libertà, è stato confermato dai fatti di Parigi che hanno posto l’enfasi sull’empatia.

Ma gli attentati sono avvenuti anche nel momento in cui in America entra nel vivo la politica pre elettorale ed inevitabili sono state anche le strumentalizzazioni politiche.

Un attacco islamista fa inevitabilmente il gioco del populismo xenofobo e prevedibile è stata dunque l’alzata di scudi conservatrice. Donald Trump ha interrotto momentaneamente la geremiade contro i messicani «clandestini e stupratori» che alimenta i suoi indici di gradimento repubblicani per scagliarsi contro i «barbari di Parigi».

Lo ha fatto rispolverando il formato collaudato dopo i fatti di Charlie Hebdo: un tweet sulla scarsità di armi in circolazione che impediscono alla vecchia Europa di difendersi come si deve – se gli Europei fossero armati sarebbe finita diversamente (un’esternazione che l’ambasciatore francese in Usa, Gerard Araud ha definito «ripugnante») .

Impliciti paladini di un ipotetico Paris, Texas anche i suoi colleghi pretendenti alla nomination repubblicana e in particolare Anne Coulter la pasionaria reazionaria che ha voluto ipotecare il tesoretto della paura sentenziando: «Trump è stato eletto stasera».

Certo il venerdì 13 di Parigi, anche in America, è un vero regalo per i seminatori di panico di destra, ma sono stati ugualmente chiamati in causa I candidati democratici che proprio per ieri sera avevano programmato il terzo dibattito elettorale.

A Des Moines, Iowa, il dibattito è iniziato con un minuto di silenzio – o meglio, una manciata di secondi di raccoglimento – ma soprattutto quello che doveva essere un confronto su economia e politiche sociali si è trasformato in una discussione quasi monotematica sul terrorismo.

Sulla carta questa ha favorito Hillary Clinton che sugli interlocutori, Bernie Sanders e l’ex governatore del Maryland Martin O’Malley, ha fatto valere le proprie credenziali politiche e diplomatiche come ex segretario di stato. Ma mentre Sanders, costretto sul terreno della lotta al terrorismo ha avuto difficoltà nell’articolare la propria piattaforma sociale ed economica, Hillary ne ha avute anche maggiori nel dissociarsi da decenni di politiche americane che hanno fortemente contribuito all’attuale disastro.

Gli avversari e i moderatori hanno potuto giustamente chiedergli conto degli interventi in Iraq e in Libia e in generale dell’ interventismo strumentale a cui si rifà la sua filosofia politica. «Dal golpe in Iran a quelli in Guatemala e contro Pinochet» ha potuto dire Sanders, «le nostre azioni hanno conseguenze storiche».

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Obama durante la prima dichiarazione dopo gli attentati di Parigi – photo ZumaPress – LaPresse