«Donne per un nuovo rinascimento» è il titolo del documento composto dalla «task force» annunciata il 12 aprile scorso dalla ministra per le Pari opportunità e famiglia, Elena Bonetti, e composta da 12 protagoniste della ricerca, della scienza, dell’arte e del mondo manageriale; una risposta allo scontento proveniente dalla task force più maschile voluta da Giuseppe Conte.

La squadra che ha lavorato con le pari opportunità, ha reso pubblica la stesura del documento solo pochi giorni fa suscitando diversi malumori, tra cui spicca quello di Di.Re. Donne in rete contro la violenza, che con i suoi centri antiviolenza, oltre 80 sparsi in tutto il territorio nazionale, segnala la gravità di non aver visto incluso nell’analisi un approfondimento sulla violenza maschile contro le donne, «perché è proprio negli stereotipi e nella perdurante disparità di genere che la violenza affonda le sue radici, al punto da poter essere considerata quasi un termometro sociale della condizione femminile».

Ad affermarlo è Antonella Veltri, presidente Di.Re, secondo cui le criticità emergono già dal testo introduttivo della ministra che alle più che condivisibili parole «da cui l’Italia deve ripartire» – connettere, promuovere, curare ed educare – ne dimentichi altre; «per esempio riconoscimento, valore e differenza – suggerisce Veltri -, dentro ciascuna di esse c’è la storia più lunga del movimento delle donne».

23 pagine, «Donne per un nuovo rinascimento» da ottimo avvio alla discussione pubblica rischia così di accantonare alcune questioni che, se inserite, ne avrebbero rafforzato la struttura. Negli elementi di contesto che aprono il documento, il focus iniziale è per esempio quello sul lavoro. Se le donne sono le meno occupate ma le più istruite, e se la retribuzione femminile è minore di quella maschile, la diseguaglianza si proietta anche nei ruoli interni alle famiglie in cui la donna è «il soggetto più debole e più sacrificabile nella coppia».

L’esame è sullo smart-working, ma anche sulle disparità di genere nelle posizioni apicali, non segnalando che questo è una parte del «problema» e che soprattutto parla a una parte, ancora più piccola: precarie e sottoprecarie, per esempio, iper-istruite e specializzate inserite in filiere del lavoro non garantite, senza diritti o che li avevano prima della pandemia e ora si ritrovano tritate dalla depressione di un mercato del lavoro con ancora meno risorse di prima.

Anche questa rappresentazione, prosegue Antonella Veltri, «risente di un malinteso di immaginario, legato solo a una parte della società – delle madri o di chi ha famiglia, intendendo quella tradizionale – o che possiede delle rendite di posizione». Le soluzioni, si legge nel documento, sono innovare il welfare aziendale, sostenere le imprese femminili, incentivare il lavoro ancora delle madri (tra le categorie più colpite, secondo il documento). Centrale e convincente è l’investimento sulla scienza e la ricerca, insieme alla sua diffusione e al suo inserimento nei percorsi di studio.

Nella sezione dedicata alla solidarietà, paragrafo sulla fragilità, si menziona la violenza contro le donne, perché alle fasce più esposte, come «donne sole disoccupate con figli minorenni, donne vittime di violenza e donne che escono dall’esperienza carceraria» sia riconosciuto un microcredito a fondo perduto. «Dispiace non fotografi la realtà – incalza Veltri.

Le fragilità elencate sono nella maggior parte dei casi percorsi di forza femminile, di libertà e liberazione che non possono essere portati avanti da sole. I centri antiviolenza sono ossatura necessaria per ritornare nel mondo, sia pure con sostegni economici quasi inesistenti. Molto possiamo raccontare proprio noi della parola rinascimento, della sua vasta valenza semantica di rimettere al mondo se stesse, sono le donne che ce lo insegnano».