«Mi sento come se un momento molto propizio della Storia stesse accadendo proprio adesso» ha detto la produttrice Kwak Sin-ae quando le è stata consegnata la statuetta più ambita, quella al miglior film, per Parasite di Bong Joon-ho – la quarta dopo quella alla miglior regia, film internazionale e sceneggiatura originale. Effettivamente si tratta di una prima volta nella storia degli Academy Awards: sino a domenica nessun film straniero aveva mai conquistato l’Oscar più importante.

E il regista Bong Joon-ho ha stabilito anche un altro record: è l’unico insieme a Walt Disney (nel 1953) ad aver vinto quattro statuette in una sola notte. Nel suo discorso di ringraziamento per l’Oscar alla miglior regia – consegnatogli da Spike Lee – l’autore di Parasite ha tessuto l’elogio dei suoi «colleghi di nomination», e in particolare Martin Scorsese e Quentin Tarantino: «Quando ero un giovane studente di cinema c’era un detto che ho scolpito nel mio cuore: ’Più è personale, più è creativo’. Una citazione del grande Martin Scorsese». Di Tarantino ha aggiunto invece: «Quando nessuno negli Stati uniti conosceva i miei film lui li inseriva sempre nella sua lista (dei migliori titoli dell’anno, ndr)».

Joaquin Phoenix con la statuetta. Foto LaPresse

E IN UN VIDEO su Facebook, anche Gianni Morandi si congratula con Bong – la sua In ginocchio da te fa parte della colonna sonora di Parasite – scherzando: «Ho ricevuto tantissime chiamate, come se l’Oscar lo avessi vinto io!».
Delle polemiche pre Oscar restano poche tracce nel corso della cerimonia, alcune di queste letteralmente intessute nel vestito di Natalie Portman, su cui erano scritti i nomi delle registe «snobbate» dall’Academy, tra cui Alma Har’el (Honey Boy), Greta Gerwig (Piccole donne) e Mati Diop (Atlantique). Nel loro «duetto» Steve Martin e Chris Rock hanno invece discusso con sarcasmo dell’«immutabilità» dell’istituzione hollywoodiana: «Pensa a quanto sono cambiati gli Oscar in questi 92 anni. Nel 1929 non c’erano neri fra i nominati a miglior attore», ha detto Martin rivolto a Rock, che ha ironizzato: «Oggi ce n’è uno!» – e cioè Cynthia Erivo candidata come miglior attrice per Harriet.

Joaquin Phoenix, vincitore del premio come miglior attore protagonista per Joker, ha incentrato il suo discorso sull’ambientalismo e i diritti degli animali (pochi giorni fa insieme a Jane Fonda ha inaugurato a Los Angeles le manifestazioni ambientaliste lanciate dall’attrice a Washington, i Fire Drill Fridays): «Saccheggiamo la natura per le sue risorse», ha detto l’attore nella sua apologia di un cambiamento possibile e di una lotta comune contro «l’idea che esista una sola nazione, un popolo, una razza, un genere, o che una specie debba dominare le altre».

«TEMIAMO il cambiamento perché abbiamo paura di doverci sacrificare, di dover rinunciare a qualcosa». Ma, ha aggiunto, «penso che siamo in grado di creare e sviluppare dei sistemi che siano benefici per tutti gli esseri senzienti e per l’ambiente».

L’unico a chiamare in causa Trump, seppur senza nominarlo, è Brad Pitt, vincitore del suo primo Oscar – come miglior attore non protagonista – per C’era una volta a Hollywood di Tarantino: «Mi hanno detto che ho solo 45 secondi per parlare quassù. Che sono comunque 45 secondi in più di quelli che il Senato ha dato a John Bolton», ha osservato in riferimento al processo per l’impeachment di Trump, e all’ex Consigliere per la sicurezza nazionale la cui testimonianza contro il presidente non è stata mai ascoltata in aula. «Penso che magari un giorno Quentin ci farà un film, in cui alla fine ’gli adulti’ fanno la cosa giusta», ha concluso Pitt prima di passare ai ringraziamenti veri e propri, anche a Ridley Scott e Geena Davis con cui ha girato la sua prima scena a Hollywood – nel 1991 in Thelma e Louise.

Il premio alla miglior sceneggiatura non originale va a Taika Waititi per Jojo Rabbit, il primo maori a vincere un Oscar, che infatti lo dedica agli «aspiranti artisti indigeni di tutto il mondo». Miglior attrice protagonista è Renée Zellweger per Judy e non protagonista Laura Dern per Storia di un matrimonio.

UN MOMENTO politico è stato in fondo anche il premio al miglior documentario – American Factory (uno dei pochi riconoscimenti conquistati dalla nominatissima Netflix), prodotto da Barack e Michelle Obama: forse un’implicita dichiarazione d’amore e nostalgia di Hollywood – nell’ultimo anno del primo mandato di Trump – rivolta agli ex occupanti della Casa bianca, assenti dalla cerimonia perché sarebbero state necessarie troppe misure di sicurezza.