L’Expo 2015 porterà a Milano poco lavoro e precario, mentre le imprese milanesi sono sfiduciate rispetto alle sue ricadute economiche. È alto il rischio che il grande evento sia «un’occasione mancata», anche se la situazione è in fieri e potrà, forse, portare a risultati diversi. Sono le conclusioni del rapporto annuale della fondazione culturale cattolica Ambrosianeum dedicato quest’anno all’«Expo, laboratorio metropolitano, cantiere per un mondo nuovo», pubblicato da Franco Angeli, curato da Rosangela Lodigiani e presentato ieri a Milano.

Negli ultimi due anni 1672 imprese hanno assunto 4075 persone nelle attività legate all’indotto Expo. Si tratta di un aumento notevole rispetto alla norma, il rapporto parla infatti di una crescita del 222,7%. Le stime della Camera di Commercio di Milano e della società Expo 2015 per il 2012-2020 parlano di 102 mila posti di lavoro complessivi, attivati a Milano e provincia, 27 mila nel resto della Lombardia, su un totale nazionale di 191 mila. Il settore che assorbirà più forza-lavoro sarà quello delle costruzioni, dell’impiantistica e delle infrastrutture. I settori del turismo, dei servizi all’impresa e alla persona, oltre che industria del «Made in Italy», dovrebbero occupare una quota di lavoratori durante lo svolgimento dell’evento.

Sia pur sottostimati, questi dati evidenziano come la scommessa Expo non abbia prodotto i risultati attesi. Senza contare, e qui veniamo ad una delle principali caratteristiche delle bolle occupazionali prodotte dai «grandi eventi» espositivi, sportivi o culturali, che si tratta di assunzioni a tempo determinato. Le assunzioni con contratti di lavoro a tempo determinato rappresentano da soli quasi il 49% di tutti gli avviamenti registrati ad oggi da Expo 2015.

Nei primi mesi del 2013 sono cessati più del 23%. Una quota rilevante di quelli esistenti sono legati ad attività a termine nei cantieri e negli appalti. Le previsioni non sono rosee per il settore alberghiero, la ristorazione e il commercio. Tra il 2012 e il 2013 il primo ha prodotto il 10,7% dell’occupazione, il secondo il 6,9%. I valori provinciali corrispondenti sono pari, rispettivamente, al 15,5% e all’8,9%. Una recente rilevazione condotta dall’Ipsos per la Camera di Commercio di Milano, condotta su 500 aziende milanesi, ha rivelato che solo il 3% del campione è impegnato direttamente nell’Expo dedicato al tema «Nutrire il pianeta», mentre un altro 3% sta cercando di inserirsi. Solo il 14% si aspetta un aumento di fatturato. Il 12% ritiene che verranno create relazioni economiche con partner esteri.

L’Expo rischia di mancare l’obiettivo di migliorare la qualità della vita dei residenti. Segnali in questo senso vengono dal sistema di deroghe ai controlli per il contrasto delle infiltrazioni mafiose, dagli scandali dalla scarsa capacità di coordinamento tra gli atenei milanesi e «dalla caduta degli impieghi creati con la loro forte precarizzazione, l’assenza di progetti credibili per la formazione dei giovani e l’eccessivo ricorso al lavoro volontario e non retribuito» scrive la ricercatrice Giuliana Costa.

Un’affermazione significativa in un rapporto che valorizza la nomina di Raffaele Cantone a presidente dell’Autorità Anticorruzione dopo gli scandali della «cupola» degli appalti, e il ruolo del terzo settore della società civile e del mondo cattolico. Cgil, Cisl e Uil hanno firmato l’accordo suo 18500 volontari con Expo spa. Dal luglio 2013 le polemiche non sono mai cessate. Prima i movimenti No Expo, poi la Fiom-Cgil, hanno criticato l’intesa che legittima il lavoro gratuito travestito da volontariato.

«È una situazione che deve far riflettere sul ruolo del sindacato – afferma il segretario generale Fiom Cgil Lombardia Mirco Rota – Gli investimenti portano solo lavoro precario e addirittura volontario senza remunerazione. È assurdo: quando non c’è lavoro i lavoratori restano disoccupati. Quando invece ci sono investimenti, la loro massima aspirazione è restare precari e lavorare per qualche mese. Questo accordo fotografa questa situazione e non tenta di incidere minimamente su una situazione pericolosa».

Perché allora i sindacati hanno scelto di firmarlo? «Per essere legittimati dalla controparte e dai grandi interessi a Milano e Lombardia – risponde – C’è un atteggiamento rinunciatario al conflitto e alla conquista di qualche diritto. Il paradosso per la Cgil è criticare Renzi per il Jobs Act e poi peggiorarlo in Lombardia dove si parla di apprendistato in somministrazione e si prevede la derioga delle mansioni. Quello che chiede Confindustria nei suoi documenti».