Il 67esimo anniversario della Nakba coincide con una interessante ripresa del dibattito sullo Stato unico democratico e laico per ebrei e palestinesi. Alla quale ha contribuito la recente pubblicazione del libro «The Re-emergence of the Single State Solution in Palestine/Israel», della studiosa Shirin Hussein, presentato l’altra sera a Gerusalemme dallo storico israeliano Ilan Pappè.

Al termine dell’incontro abbiamo rivolto alcune domande a Pappè.

Quanto è viva l’idea di uno Stato unico come soluzione per la questione palestinese?

Direi tanto, almeno se parliamo del mondo accademico e degli attivisti. In numerose università degli Stati Uniti ma in Europa e in altre parti del mondo, tra docenti e studenti che si occupano di Israele e della Palestina, il dibattito sullo Stato unico per ebrei e palestinesi cresce di pari passo con lo scetticismo verso la soluzione dei Due Stati, che è stata il perno degli Accordi di Oslo (1993) ma che oggi appare sempre più irrealizzabile, di fronte alla colonizzazione israeliana dei Territori occupati, alle confische di terre e a tutte le politiche di oppressione e privazione di diritti che attuano i governi israeliani. Molti dicono che lo Stato unico è solo una ipotesi accademica, l’argomento di un confronto tra pochi intellettuali e attivisti della causa palestinese, scollegato da una realtà che vede soprattutto gli israeliani escludere caterogoricamente questa possibilità. Ricordano anche che ci sono esponenti politici israeliani che definiscono lo Stato unico un’idea di nemici dello Stato ebraico più pericolosa della bomba atomica iraniana. Ma le cose non stanno così. Certo, chi porta avanti questa soluzione del conflitto non può affermare di rappresentare qualcuno. Ma il punto è un altro. Occorre parlarne, andare contro corrente, contro il flusso delle politiche che stanno creando l’apartheid in questa terra. E sul lungo periodo, di fronte alla gravità della situazione e al quadro demografico di israeliani e palestinesi, lo Stato unico non potrà che conquistare consensi crescenti.

Esistono però altre idee ben diverse di Stato unico per la Palestina. La destra israeliana più radicale ha la sua proposta: uno Stato dove gli arabi non avranno gli stessi diritti degli ebrei. Tra i palestinesi invece cresce il consenso verso uno Stato islamico in cui i diritti dei non musulmani verrebbero garantiti sulla base dei principi dell’Islam. Il dibattito tra gli accademici e tra gli attivisti tiene conto di queste tendenze?

Certo. In realtà sono tre le idee di Stato unico che si stanno discutendo. La prima è quella di uno Stato laico e democratico, la seconda di uno Stato islamico e la terza di uno Stato binazionale. Senza dubbio i palestinesi della diaspora, gli accademici che vivono all’estero e gli israeliani non sionisti preferiscono lo Stato democratico e laico per entrambi i popoli. Ma allo stesso tempo sanno di non rappresentare nessuno ed esplorano tutte le soluzioni possibili. C’è da dire che lo sforzo principale al momento non viene dedicato alla diffusione dell’idea dello Stato unico bensì a dimostrare l’impossibilità di realizzare quella dei Due Stati. Quando la maggioranza delle parti coinvolte si sarà convinta della impraticabilità dei Due Stati allora sarà più semplice avviare una discussione seria ed ampia sullo Stato unico e decidere un compromesso, in particolare tra laici e religiosi. Non sarà facile ma è molto meglio che continuare a parlare di qualcosa di irrealizzabile come i Due Stati. Quanto all’idea di Stato unico nella testa dei leader della destra israeliana posso dire che sta diventando sempre più popolare, che conquista non poche strade del Paese, ma è destinata ad essere accantonata proprio dai suoi teorici. Per la semplice ragione che la crescita demografica palestinese, nettamente superiore a quella degli israeliani ebrei, costringerà molto presto i sostenitori dell’oppressione definitiva dei palestinesi a ritornare sui loro passi.

Potrebbe non essere così automatico. Queste forze, sempre più popolari, forse raccoglieranno sostegni tali da chiedere e ottenere l’espulsione di una parte della popolazione palestinese, attuando una seconda Nakba.

Non è semplice saperlo. Tuttavia considerando che un altro attacco militare (israeliano) contro Gaza è molto probabile, prevedo una nuova rivolta palestinese, la Terza Intifada. I palestinesi non tarderanno a ribellarsi in massa all’oppressione, come hanno già fatto in passato. Se la risposta degli occupanti sarà quella della Nakba del 1948 non sono in grado di dirlo. Di una cosa però sono certo. Sarà molto dura, pesante, catastrofica. Ecco perché abbiamo il dovere di non restare in silenzio, indifferenti verso le sorti di questa terra, e di proporre l’unica soluzione ragionevole, lo Stato unico.