Il glifosato, il pesticida più utilizzato in campo agricolo, ritorna al centro dell’attenzione. La Bayer ha accettato il pagamento di più di 10 miliardi di dollari per chiudere migliaia di procedimenti giudiziari per danni alla salute causate dall’erbicida. L’accordo si riferisce a 95 mila delle 125 mila denunce avviate in questi anni nei tribunali degli Stati Uniti contro la Monsanto, acquistata nel 2018 dalla Bayer, ritenuta responsabile di aver immesso sul mercato a partire dagli anni ‘70 il Roundup, erbicida che contiene come principio attivo il glifosato. L’accordo chiude solo il 75% dei contenziosi legali e sono 30 mila le persone che lo hanno rifiutato.

QUELLA DELLA BAYER è stata una scelta obbligata dopo che, in tre distinti processi, i tribunali americani avevano condannato la multinazionale al risarcimento delle persone colpite per un totale di 191 milioni di dollari. La Bayer ha anche comunicato di aver accettato il pagamento di 820 milioni di dollari come risarcimento per i danni ambientali provocati dall’uso dei policlorobifenili (PCB), sostanze altamente tossiche presenti in alcuni prodotti forniti dalla Monsanto, e 400 milioni di dollari per i danni causati da un altro diserbante, il dicamba.

INTORNO AL GLIFOSATO SI GIOCA una partita che ha enormi implicazioni su piano sanitario, ambientale ed economico. Ogni anno si spendono a livello mondiale 5 miliardi di dollari per acquistare prodotti a base di glifosato e la sua messa al bando non è una operazione semplice. Nel 2015 l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) ha inserito il glifosato tra le sostanze «probabilmente cancerogene». Eppure, nel 2017 la Commissione europea ne ha prorogato l’uso per altri 5 anni.

COSA ACCADRA’ NEL 2022 ALLA SCADENZA della proroga? La Corte di giustizia europea nell’ottobre 2019, dopo che un tribunale francese aveva chiesto chiarimenti sulla normativa che regola l’impiego dell’erbicida, ha sentenziato che «non sussistono elementi per inficiare la legittimità dell’uso del glifosato». Prese di posizioni contrastanti che si sono succedute nel corso di questi anni, dovute al fatto che gli organismi di controllo fanno riferimento a studi diversi e applicano differenti analisi statistiche. L’Istituto Ramazzini di Bologna, un centro di ricerca indipendente per la prevenzione del cancro e delle malattie di origine ambientate, ha dimostrato che il glifosato è un interferente endocrino e che non esistono dosi «sicure». Fiorella Belpoggi, direttrice scientifica dell’Istituto, presiede il Coordinamento Rete Marcia Stop Pesticidi.

IN OGNI CASO, LA LOTTA AL GLIFOSATO continua a essere il simbolo per la riduzione degli agrotossici in agricoltura. I paesi europei si muovono in ordine sparso. L’Austria ha rivendicato il diritto dei singoli Stati di vietare l’uso del glifosato, il Lussemburgo ha manifestato la volontà di proibirne l’uso dal 2021, la Germania alla fine del 2023, la Francia intende ridurre tutti i tipi di agrotossici del 50% entro il 2025.

IN ITALIA IL DECRETO MINISTERIALE del 2016 autorizza l’uso del glifosato nelle aree agricole, limitando il suo impiego nelle aree non agricole (parchi, giardini, campi sportivi, aree verdi di plessi scolastici e strutture sanitarie). Ma il problema non riguarda solo il glifosato. Il campionario dei pesticidi comprende anche insetticidi, fungicidi (o anticrittogamici), nematocidi, acaricidi, etc. Sono un migliaio i prodotti agricoli che li contengono con più di 300 molecole diverse. Se si valuta la quantità di pesticidi venduta e la superficie coltivata, risulta che in Italia se ne impiegano ogni anno 7 kg per ettaro, ma per alcune aree coltivate a frutteti si arriva a 50 kg per ettaro.

SECONDO LA FAO, IN ALCUNE ZONE del pianeta in cui domina l’agricoltura intensiva di Ogm si arriva a utilizzare ogni anno fino a 150 kg per ettaro di agrotossici. L’EFSA (Autorità europea per la sicurezza alimentare), pur riconoscendo che il 45% del cibo che consumiamo contiene pesticidi, parla di «basso rischio» per i consumatori europei perché il 97% dei campioni analizzati presenta una quantità di residui inferiori ai limiti di legge. Il problema è che vengono analizzate le singole molecole, senza considerare l’insieme dei residui presenti negli alimenti. La valutazione del rischio si concentra sul singolo principio attivo, senza considerare gli effetti combinati che si manifestano sull’organismo umano. La stessa definizione di «livello di sicurezza» viene messa in discussione da molti ricercatori.

IL FENOMENO DELL’ACCUMULO dei residui tossici è stato più volte denunciato dai centri di ricerca indipendenti e da ISDE (Medici per l’ambiente) che hanno messo in evidenza le patologie che possono insorgere a livello endocrino, immunitario, nervoso, respiratorio, cardiovascolare, renale, riproduttivo. Secondo l’ultimo rapporto dell’Ispra, i pesticidi in Italia sono presenti nel 67% delle acque superficiali e nel 33% delle acque sotterranee. Nel sottosuolo queste sostanze si accumulano per la mancanza di organismi decompositori e persistono per decenni. Sono passati 27 anni dalla prima campagna del 1993 contro gli agrotossici, quando furono raccolte un milione di firme con la richiesta Disarmiamo i pesticidi. Negli ultimi anni è stata ulteriormente dimostrata la relazione tra l’esposizione ad alcuni pesticidi e i danni alla salute, ma anche le alterazioni che si producono negli ecosistemi, la compromissione della fertilità dei suoli, la distruzione della biodiversità animale e vegetale.

DA QUI L’INTENSIFICAZIONE delle campagne Stop pesticidi. L’Italia è il paese europeo che impiega più pesticidi per unità di superficie coltivata e si trova al terzo posto, dopo Spagna e Francia, per quantità complessivamente utilizzata, circa 130 mila tonnellate all’anno. Questo massiccio impiego di pesticidi ha un risvolto da un punto di vista alimentare, perché le sostanze impiegate arrivano sulle nostre tavole attraverso il cibo. E’ difficile calcolare la quantità di pesticidi che assumiamo attraverso l’alimentazione.

SECONDO UN DOSSIER DI LEGAMBIENTE, nel 34% degli alimenti sono presenti i residui di uno o più pesticidi e alcuni cibi sono particolarmente a rischio. Secondo i dati ufficiali, sono presenti residui nel 63,9% dei campioni di frutta, nel 36,1% degli ortaggi, nel 24% dei prodotti di origine animale e nel 22,7% degli alimenti trasformati. In questi anni, soprattutto per le mense scolastiche, si sono costruiti percorsi alimentari basati su cibi proveniente da agricoltura biologica, creando un rapporto col territorio circostante.

L’ITALIA, A PARTIRE DAGLI ANNI ’90, è stato il primo paese europeo a introdurre i prodotti biologici nelle mense scolastiche. In diverse realtà regionali si sono imposti modelli di ristorazione collettiva basati sulle produzioni biologiche, nella consapevolezza che l’alimentazione nell’infanzia influisce in modo determinante sullo stato di salute nell’adulto. In particolare, una importante funzione è stata svolta dai 40 biodistretti che operano sul territorio italiano, con centinaia di produttori biologici che hanno garantito una alimentazione sana e sicura alle comunità scolastiche. Il biologico nelle mense scolastiche ha un grande valore anche da un punto di vista educativo. Secondo il rapporto Bio Bank del 2019, sono oltre 1500 le mense scolastiche biologiche in Italia. La Lombardia ne conta 264, il Veneto 241, l’Emilia-Romagna 165. La pandemia ha bloccato tutto il settore e l’emergenza sanitaria può mettere in discussione i risultati raggiunti. La ripresa di molti territori passa anche dalla valorizzazione dei prodotti biologici nella ristorazione scolastica.