È «l’ingiustizia» del sistema economico che spinge uomini e donne a lasciare i propri Paesi per cercare di raggiungere con ogni mezzo l’Europa. È «l’indifferenza» dei ricchi che li respinge e li lascia morire in mezzo al deserto del Sahara o in fondo al mar Mediterraneo. Papa Francesco nel giorno di Natale – per i cristiani la solennità più importante dell’anno liturgico dopo la Pasqua – è tornato a parlare delle tragedie delle migrazioni e dei crimini dei respingimenti, i temi che più di tutti hanno caratterizzato il suo pontificato, che infatti volle iniziare compiendo il suo primo viaggio fuori le mura vaticane a Lampedusa, porta d’Europa nel mezzo del Mediterraneo, nel luglio del 2013.

Lo ha fatto pochissimi giorni dopo aver ricevuto in Vaticano, il 19 dicembre, 33 profughi afghani, camerunensi e togolesi richiedenti asilo, portati a Roma ad inizio dicembre dal campo di Moria nell’isola di Lesbo grazie ad un «corridoio umanitario» speciale, negoziato dalla Santa sede (e dalla Comunità di Sant’Egidio) direttamente con Italia e Grecia. Una «ridondanza» – due discorsi forti sulla stessa questione in meno di una settimana – che interpella i cattolici, talvolta tentati dalle sirene delle «radici cristiane» esaltate in chiave identitaria ed escludente e sordi al messaggio evangelico di fraternità e accoglienza. E che si rivolge indirettamente ai leader politici nazionali ed europei, disinteressati a trovare soluzioni condivise per i migranti che bussano alle porte della «fortezza Europa».

Ora è stata la volta del tradizione messaggio Urbi et Orbi (a Roma e al mondo), pronunciato il giorno di Natale dalla loggia centrale della basilica di San Pietro, davanti a circa 50 mila persone in piazza e trasmesso in mondovisione. Accanto al pontefice – e in Vaticano i segni non sono mai scelti a caso – due cardinali: Renato Raffaele Martino, presidente emerito del Pontificio consiglio giustizia e pace e del Pontificio consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti, e Konrad Krajewski, elemosiniere apostolico, quello che nello scorso mese di maggio riallacciò la corrente elettrica allo Spin Time di Roma, lo stabile di via Santa Croce in Gerusalemme occupato da quattrocento persone che Acea aveva lasciato al buio.

In Africa «perdurano situazioni sociali e politiche che spesso costringono le persone ad emigrare nella speranza di una vita sicura, privandole di una casa e di una famiglia», ha detto Papa Francesco nel messaggio natalizio dalla loggia di San Pietro. «È l’ingiustizia che li obbliga ad attraversare deserti e mari, trasformati in cimiteri – ha aggiunto –. È l’ingiustizia che li costringe a subire abusi indicibili, schiavitù di ogni tipo e torture in campi di detenzione disumani. È l’ingiustizia che li respinge da luoghi dove potrebbero avere la speranza di una vita degna e fa loro trovare muri di indifferenza».

Parole fotocopia di quelle pronunciate in Vaticano davanti ai 33 profughi arrivati da Lesbo («È l’ingiustizia che costringe molti migranti a lasciare le loro terre. Che li obbliga ad attraversare deserti e a subire abusi e torture nei campi di detenzione. Che li respinge e li fa morire in mare»), quando aveva anche detto che «non è bloccando le imbarcazioni che si risolve il problema», bensì impegnandosi «a svuotare i campi di detenzione in Libia», denunciando e perseguendo «i trafficanti che sfruttano e maltrattano i migranti, senza timore di rivelare connivenze e complicità con le istituzioni».

Dalla Città del Vaticano a Palermo, dove, da parte dell’arcivescovo della città, monsignor Corrado Lorefice, è arrivato un altro segno esplicito in direzione dell’accoglienza. Durante la tradizionale messa di mezzanotte in cattedrale, è stato portato in processione un Gesù bambino nero: una scultura proveniente dalla Tanzania che vescovo e parroco hanno deciso di utilizzare al posto del tradizionale Gesù bambino bianco «per aiutare le coscienze di tutti ad accettare la sfida dell’accoglienza e della protezione dei migranti che arrivano sulle coste siciliane». E fra i presepi allestiti in cattedrale, ce n’è uno dell’artigiano lampedusano Franco Tuccio, realizzato con il legno dei barconi dei migranti approdati a Lampedusa e i personaggi rivestiti con i teli termici con i quali vengono soccorsi e ricoperti i migranti al loro sbarco. Chissà se a Salvini, che a Natale mette nel cassetto il rosario per brandire presepi, sarebbe piaciuto.