«Una fabbrica recuperata? Dove devo firmare? Nel mio paese stiamo varando una legge specifica per togliere le fabbriche ai padroni che non sanno mandarle avanti». Gigi Malabarba porge l’appello in favore della Ri-Maflow, una fabbrica recuperata dai lavoratori a Milano. E il presidente boliviano Evo Morales, firma. Intorno, cardinali vescovi e suore che discutono. Siamo in una sala del Vaticano, dove si sta svolgendo l’Incontro mondiale dei movimenti popolari. Papa Francesco ha appena finito di parlare, accolto da una platea di delegati dei cinque continenti: organizzazioni sindacali, contadine, femministe, realtà autogestite, venute a discutere di Terra casa e lavoro e a chiedere «diritti per tutti».

Un consesso inusuale che ha messo insieme esperienze laiche o religiose con il forte impegno di reti internazionali come la Via Campesina e movimenti come quelli dei Sem Terra brasiliani o dei Riciclatori in America latina. Vi sono anche delegati dei movimenti italiani, come Elena Iannuzzi Hileg, dell’Associazione Sharewood, del centro sociale Leoncavallo.

«Siamo stati invitati ufficialmente come centro sociale – dice Iannuzzi – tutto è nato da un’iniziativa che abbiamo fatto a Milano insieme alla Ri-Maflow durante la quale si è presentato il libro di Elvira Corona, Lavorare senza padroni. Poi ad agosto ci è arrivato l’invito a nome del Cardinale Turkson e a settembre ne abbiamo discusso in assemblea. Vedendo i tavoli di discussione e gli invitati, ci siamo resi conto che tutto era molto simile a un forum sociale mondiale delle realtà contadine e di lotta e che avremmo incontrato le stesse organizzazioni con cui abbiamo discusso a Porto Alegre. E poi c’era Evo Morales. Abbiamo preso l’invito con serietà: per portare all’attenzione la questione dell’autorganizzazione sociale che crea reti di solidarietà non riconosciute dalle istituzioni, quella delle nuove forme del lavoro, dell’altra economia. E poi, abbiamo sempre camminato al fianco di preti di strada come Don Gallo».

E d’altronde, dopo trent’anni di occhiuta chiusura, la chiesa di Francesco sembra tornare al linguaggio del Cristo delle origini: «Avete i piedi nel fango e le mani nella carne. Odorate di quartiere, di popolo, di lotta!», ha detto il papa ieri mattina. E ancora «Non si può affrontare lo scandalo della povertà promuovendo strategie di contenimento che unicamente tranquillizzano e trasformano i poveri in esseri addomesticati e inoffensivi. Che triste vedere che, dietro a presunte opere altruistiche, si riduce l’altro alla passività, lo si nega o, peggio ancora, si nascondono affari e ambizioni personali: Gesù le definirebbe ipocrite. Che bello invece quando vediamo in movimento popoli… Allora sì, si sente il vento di promessa che ravviva la speranza di un mondo migliore. Che questo vento si trasformi in uragano di speranza».

Il linguaggio della scelta, che a volta implica anche di scegliere per gli altri e di disobbedire. Molte delle esperienze che si sono confrontate, infatti, vengono dal margine. L’Incontro mondiale dei movimenti popolari ha messo al centro realtà invisibili, ha discusso di democrazia reale, di partecipazione ma anche della necessità di prendersi ciò che spetta a chi lo produce, e di non subire. Al nord o al sud del mondo. Per l’Italia c’era anche Giovanni, delegato di Genuino clandestino, una fattoria di Firenze che il demanio voleva privatizzare e che i lavoratori hanno occupato.

Un’esperienza che, cercando di unire città e campagna è andata a dar manforte agli immigrati schiavi di Rosarno e ora insieme cercheranno di costruire una sponda con le esperienze internazionali che hanno incontrato a Roma. «Ne ho apprezzato il discorso ma non pendo dalle labbra del papa – ci dice Malabarba – ma da marxista se vedo che si apre uno spazio per contrastare il capitalismo, cerco di sfruttarlo».

E oggi, nella giornata conclusiva, in molte intendono anche porre la questione del sacerdozio femminile. Una sfida epocale per papa Francesco.